Born to run

Creato il 25 ottobre 2011 da Gianluca1

Homo abilis

È lo stesso titolo di uno dei migliori dischi di Bruce Springsteen, Born To Run. Un divertente excursus nel mondo del running per sottolineare una verità assoluta: l'uomo è nato per correre. Il riferimento è a un libro uscito in USA due anni fa, scritto da Christopher McDougall, giornalista corrispondente della Associated Press. L'autore si concentra su vari aspetti della corsa sentenziando un primo dogma che sconcerta: “the best shoes are the worst”, ossia “le scarpe migliori sono le peggiori”. Per arrivare a queste conclusioni McDougall si riferisce innanzitutto ai tarahumara, popolazione messicana del Chihuahua, per la quale la corsa rappresenta una realtà quotidiana come lo è per noi andare in ufficio in metrò. Oggi ne rimangono circa 50mla, dediti a uno stile di vita tradizionale, basato sulla coltivazione del mais e dei fagioli e sull'allevamento. Ma si sofferma anche sull'anatomia del piede, per spiegare che all'interno di una scarpa il piede soffre, essendo “nato” per tastare la terra, per appoggiare la pianta su un substrato terroso o erboso. Incapsulato anche nella migliore scarpa da ginnastica del mondo, rischia di compromettere l'attività del tallone e quella delle ginocchia; inoltre i tendini si irrigidiscono e perdono la loro autonomia, così indispensabile per una buona e corretta deambulazione. L'arco del piede è composto da 26 ossa, 33 articolazioni, 12 tendini elastici e 18 estendibili muscoli. Ritrovati geniali dell'evoluzione che se non possono svolgere i compiti per i quali sono stati predisposti, possono creare problemi fisici anche gravi. La tesi del “correre a piedi nudi” è sposata anche dagli scienziati dell'Harvard University che hanno condotto uno studio per dimostrare l'aspetto salutare del “running scalzo”: la scarpa impedisce il movimento naturale del piede e non consente le migliori performance podistiche. Irene Davis dell'American College of Sports Medicine è dello stesso avviso: poggiando il metatarso al suolo si fa meno forza, e si hanno, quindi, meno ripercussioni negative sull'intero organismo. Ne beneficia anche l'apparato respiratorio poiché s'è visto che chi corre a piedi nudi utilizza il 4% in meno di ossigeno, rispetto a chi si muove indossando un paio di scarpe. Con ogni tipo di calzatura immaginabile il piede si impigrisce, invecchia prima, si indebolisce; inevitabilmente aprendo le porte a un maggior numero di infortuni. C'è poi una buona componente psicologica, se si tiene conto del fatto che per molti corridori la corsa a piedi scalzi è, in pratica, come un ritorno alle origini dell'evoluzione umana, considerando che i nostri progenitori non sapevano neanche cosa fosse una calzatura. «In quanto corridori ci muoviamo in stretta connessione con la catena infinita della storia», dice Jim Fixx nel suo Complete Book of Running. «Apprendiamo cosa avremmo provato se fossimo vissuti diecimila anni fa e avessimo mantenuto in buono stato cuore, polmoni e muscoli. Ci accertiamo della nostra parentela con gli uomini primitivi, una cosa che raramente riesce all'uomo moderno». 

L'evoluzione scheletrica


Ma quando e come l'uomo ha iniziato a correre a piedi scalzi? Per rispondere a questa domanda è necessario compiere un viaggio indietro di qualche milione di anni, con il consolidamento delle prime forme australopitecine, i diretti antenati dell'uomo, già ben diversificati dall'universo primate delle scimmie. Siamo fra i tre e i sei milioni di anni fa, in un periodo compreso fra il tardo miocene e il pliocene medio. In questo contesto si sviluppano forme arcaiche di Australopithecus che già possiedono caratteristiche legate all'andatura bipede. Più avanti compaiono l'Ardipithecus ramidus e l'Australopithecus anamensis con un foramen magnun (foro occipitale) decisamente più avanzato delle antropomorfe – prerogativa fondamentale per poter camminare dritti - e una tibia esplicitamente predisposta al bipedismo. Ma gli antropologi sono convinti che non sia stata l'affermazione dell'andatura bipede a consentire all'uomo lo sprint evolutivo all'uomo, bensì la corsa: la corsa, appunto, a piedi nudi. Per arrivare a ciò sono, però, stati necessari cambiamenti anatomici fondamentali, compresi una progressiva riduzione del prognatismo e della lunghezza degli avambracci, e il passaggio dell'alluce da un'azione prensile a una funzione di propulsione: «Importantissimi sono gli adattamenti a livello del piede», rivela Niccolò Mazzucco del magazine Anthropos, «che per sopportare l'impatto e i traumi sollecitati dalla deambulazione e dalla corsa deve presentare una struttura robusta e allo stesso tempo elastica». Il passaggio cruciale dalla camminata alla corsa avviene in corrispondenza del graduale passaggio da una dieta tipicamente vegetale a quella animale. Le piante, per natura, non si muovono, non serve rincorrerle per procacciarle, gli animali, al contrario, si spostano più o meno velocemente ed è quindi necessario adottare delle tecniche maggiormente raffinate per poterli catturare. Da un punto di vista energetico passare dalla dieta vegetariana a quella carnivora è senz'altro vantaggioso, tuttavia è maggiore anche l'impegno richiesto per supportare questo stile di vita. «Gli animali da preda sono mobili, circospetti, si mimetizzano, mordono e scalciano», prosegue Mazzucco. «Ma l'uomo, alla fine, si adatta a questo nuovo tipo di alimentazione». Con ciò impara a costruire trappole e armi, incrementando l'attività cerebrale e dunque le dimensioni del cervello stesso. L'acquisizione definitiva di una dieta carnivora – confermata anche da un intestino più breve, tipico dei carnivori - e quindi della capacità di correre, si ha con l'Home ergaster. È un ominide vissuto probabilmente fra un milione e due milioni di anni fa, con un alto livello cognitivo e un cervello che sfiorava i 900 cc. I principali resti fossili provengono dal Kenya e sono stati individuati fra il 1975 e il 1984. In seguito la corsa si consolida, divenendo una prerogativa fondamentale dell'attività umana, passando dall'Homo erectus all'Homo rhodesiensis, per arrivare ai neandertaliani e all'Homo sapiens. «Ecco perché la corsa è inculcata nella nostra memoria collettiva», afferma l'antropologo sudafricano Louis Liebenberg. «Correre è il superpotere che ci rende umani». Mentre Bernd Heinrich della Vermont University sostiene che «continuiamo a essere corridori, perché nasciamo corridori». Oggi l'uomo s'è effettivamente trasformato in una macchina da corsa, grazie all'acquisizione di strutture anatomiche ultra efficienti, a partire dai tendini, vera e propria centrale energetica di riserva del corridore. Secondo gli specialisti ogni volta che si poggia il piede per terra, il tendine di Achille assorbe il 40% dell'energia che altrimenti andrebbe persa e la sprigiona nel passo successivo. Fondamentale anche la presenza di glutei molto potenti, in risposta all'equilibrio fornito dalla coda in molti animali. Il gluteo umano è rappresentato da tre muscoli, piccolo, medio e grande gluteo. Tutti e tre originano dall'anca e si inseriscono nella parte prossimale del femore. La predisposizione alla corsa, infine, è giustificata dall'efficienza dei muscoli del polpaccio, in particolare il soleo, determinante per la resistenza.

Prospettive future


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