Da acerba a marcia come la frutta in una nave frigo, ma comunque da buttare: l’idea che gli italiani hanno della Turchia.
Se c’è di mezzo la Turchia, anche una borsa di studio può diventare pretesto per dare adito a quelli che io definisco “sensazionalismi da pianerottolo” e che- sostanzialmente- chiamano in causa i soliti falsi miti sulla Turchia e Istanbul (“ma c’è il deserto?”, “in estate le temperature raggiungono i cinquanta gradi, vero?”, “com’è il FIUME sul Bosforo?”), pregiudizi infondati, stereotipi (“Ora che vai, dovrai mettere il TURBANTE pure tu?”) e opinioni date con fin troppa superficialità (“Cosa devi andarci a fare? IO non mi sono trovato bene, non vedevo l’ora di andarmene!”). Il tutto allegramente variegato di cretinismo diffuso, ipocrita e perbenista, tipico dell’italiano che ancora s’illude di vivere chissà in quale Italia immaginaria, ignaro di averla trasformata da “culla del Rinascimento” a “cloaca dell’insolvenza”.
Vedete, io vengo da un piccolo paese dell’Italia meridionale e qui, se dici ai tuoi compaesani che hai vinto una borsa di studio in Turchia, il massimo che ti aspetti è che quelli più acculturati ti prospettino scenari degni de “L’Italiana in Algeri”; e che quelli meno acculturati- ma che, a mo’ di Pasquale Ametrano, han lasciato l’Italia per la Svizzera/Germania tanti anni fa e sono qui per le vacanze- ti diano consigli per trovare ed, eventualmente, sposare qualche compaesano multiproprietario e illibato (ma non troppo) già sul posto. Non ti aspetteresti certamente quelle riflessioni geopolitiche improvvisate, disquisizioni sui diritti della donna, che invece giungono puntuali, a raffica, scanditi con la stessa saccenza e sicurezza con cui io leggerei, per esempio, i nominativi sull’elenco telefonico (ma solo quelli).
In tutti i casi la domanda che sorge spontanea è sempre la stessa: possibile che, sia essa gente con un un minimo di cultura o totalmente ignorante, abbiano tutti la medesima opinione sulla Turchia e qualunque fatto di politica/costume la riguardi? Non si tratterà forse di vecchie opinioni e stereotipi sedimentati, difficili da svecchiare soprattutto in Italia, dove ancora sogniamo Kreuzberg, Londra, la Scandinavia e i media non fanno altro che alimentare questo sogno, continuando a raccontare scemenze su altre realtà (proprio la Turchia, ad esempio) che invece continuano a crescere e cambiare (e non poco) con tutti i pro e i contro?
Insomma, ci penserei più di una volta prima di dire, senza esserci mai stata, o averci passato solo pochi giorni, ed aver ascoltata solo qualche notizia al telegiornale, che “In Turchia c’è la dittatura, non è un Paese libero come la Germania o l’Italia” (sic!), “in Turchia sono sottosviluppati”, “in Turchia c’è zero rispetto per la donna”, “il loro premier è un animale” (di quale state parlando? Quello vecchio? Quello nuovo? E’ perché sarebbe un animale?), e ancora “Lì le leggi sono rigide, strano che ti sia trovata bene. Non c’è il regime?” (la parola “regime” non si capisce cosa significhi, perché nessuno sa dirti in cosa consista: “è un regime”, qualcosa che sta tra la topica freudiana, la categoria dello spirito e il semplice stato d’animo, difatti molti mi dicono: “sento la Turchia come un regime” e non so se ridere, prenderlo per un nuovo disturbo dell’olfatto, o abbonarli da un lacaniano di quelli esosi…).
Poi, abbiamo “La Turchia sta diventando come l’Iran alla fine degli anni Settanta” (sì, esatto, questa gente era pappa e ciccia con lo Scià all’epoca della Rivoluzione Iraniana, non parla così solo per vicinanza geografica fra Turchia e Iran). Per non parlare dei trip psichiatrici che si scatenano ogni qualvolta al telegiornale danno la notizia “scontri sul confine tra Siria e Turchia”, come se la geografia fisica e sociale di un Paese così vasto e variegato come la Turchia, si limitasse ai suoi soli confini e gli avvenimenti importanti fossero circoscritti a quella sola area.