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Borsellino Quater-trattativa Stato-mafia: Amato “Mai saputo nulla”, ed un confuso Pino Arlacchi “La parola trae in inganno…”

Creato il 25 aprile 2014 da Giornalesiracusa

giuliano amato

Giorno 22 aprile, davanti alla corte d’assise di Caltanissetta, ha avuto luogo un’altra udienza del processo denominato Borsellino Quater nel quale si indaga, appunto, sulla strage di Via d’Amelio, l’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta – Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Durante questa udienza hanno deposto il presidente del Consiglio dell’epoca subito successiva alle stragi mafiose del 1992, Giuliano Amato e Pino Arlacchi, l’ex consigliere del Ministro degli Interni che ha redatto il progetto esecutivo della Direzione Investigativa Antimafia nell’agosto del 1993.

Amato ha nettamente dichiarato: «Non ho mai saputo dell’esistenza di una trattativa per fermare le stragi fra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra. Nessuno me ne parlò mai; non so se non me ne parlarono perché sapevano che mi sarei opposto o semplicemente perché non ci fu alcuna trattativa».

Per quanto riguarda la successione di Nicola Mancino a Vincenzo Scotti al Ministero dell’Interno, gli inquirenti pensano a una sorte di ‘cortese concessione’ che rientrerebbe pienamente nelle dinamiche della trattativa, se si considera la caparbietà con cui Scotti stava tentando di affrontare la lotta alla mafia. Secondo le deposizioni rilasciate dall’allora presidente del Consiglio, invece, si trattò semplicemente di una questione politica interna alla Democrazia Cristiana che non provocò nessuna frattura.

Inoltre, ha dichiarato l’ex premier che gli furuno date chiare indicazioni riguardo al nominativo di Mancino e, poi, ha ricordato confusamente di aver parlato con Fernanda Contri – ex segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri – di un suo incontro con l’allora colonnello del Ros Mario Mori.

Pino-Arlacchi

Successivamente è stato ascoltato Pino Arlacchi che ha cercato di depotenziare un documento, tanto importante quanto scomodo, che è stato acquisito fra le carte del processo. Si tratta della relazione della DIA nella quale viene scritto che “la strage di Capaci e l’omicidio di Salvo Lima sono da interpretare come due momenti significativi di una strategia di difesa di Cosa Nostra; dopo la strage di via d’Amelio, Cosa Nostra è divenuta compartecipe di un progetto disegnato e gestito insieme ad un potere criminale diverso e più articolato”.

Praticamente, è un documento nel quale viene espressamente esplicitata la diffusa percezione dell’esistenza di un dialogo, non solo a colpi di bombe, fra Cosa Nostra e lo Stato.

La parola fastidiosa che Arlecchi ha provato a indebolire privandola della sua potenza produttiva e che ha invitato a usare in maniera cauta e prudente è trattativa: «Noi non parlammo di trattativa, cioè la parola forse la usammo. Ma l’ho detto, se per trattativa si intende un negoziato condotto da singoli pezzi dello Stato con un capo della mafia, in maniera occulta, per indurlo a collaborare e dare informazioni, beh di trattative come queste ci sono sempre state. Se poi si intende, come si usa oggi, un negoziato a tutto campo in cui i vertici dello Stato italiano trattano con i vertici di Cosa Nostra, beh questa trattativa non c’è mai stata. La parola trae in inganno. Il rapporto fra Mori e Ciancimino è quello fra i carabinieri e un confidente. Senza alcuna copertura politica, il carabiniere trattava e autorizzava. Trasformare questo fatto, che può essere un episodio, inserendolo in una trattativa complessa mi sembra troppo».

Il processo – per cui sono imputati di strage i boss Salvino Madonia e Vittorio Tutino e di calunnia i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Calogero Pulci e Francesco Andriotta – è stato rinviato al 29 aprile per la deposizione dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, di Virginio Rognoni e dell’onorevole Pietro Folena.


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