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BOSNIA: Diverse memorie di un passato comune, lo stesso sogno di un futuro diverso

Creato il 11 aprile 2012 da Eastjournal @EaSTJournal

di Ilaria Vianello*

Photo: Flickr / Chun Lam

Photo: Flickr / Chun Lam

Sarajevo ha ricordato l’anniversario dell’inizio dell’assedio, il 6 Aprile 1992, data convenzionalmente accettata per il più lungo assedio nella storia bellica moderna. L’installazione delle 11.541 sedie rosse nella famosa Ulica Maršala Tita è stato l’evento mediatico più seguito, ma oltre a quest’ultimo diverse sono state le esibizioni fotografiche e le presentazioni di libri. Gli stessi giornalisti che vent’anni fa si trovavano a Sarajevo a fotografare le violenze dell’assedio si sono ritrovati nel famoso albergo Holiday Inn.

Circondati da immagini, parole e musiche struggenti, a Sarajevo e ai suoi abitanti è stato chiesto di ricordare. Voleva Sarajevo ricordare? Volevano i suoi abitanti ricordare? La commemorazione non sembra aver messo al centro dell’attenzione chi è sopravvissuto all’assedio: gli abitanti che qui non hanno mai smesso di vivere, coloro che qui hanno cercato rifugio durante la guerra e coloro che qui hanno deciso di tornare.

Con questo articolo vorrei ricordare non solo le 11.541 persone che sono tragicamente morte durante l’assedio, ma anche chi è sopravvissuto, i loro ricordi, le loro preoccupazioni e la loro visione di Sarajevo tra altri vent’anni. Riporto qui tre testimonianze di persone che vivono ora in città: Aldijana, Irena e Irfan.

Aldijana ha trent’anni. Lei a Sarajevo ha vissuto tutta la sua vita. All’inizio dell’assedio aveva dodici anni, al termine ne aveva sedici. I quattro lunghi anni dell’assedio se li ricorda, si ricorda la mancanza di cibo e il terrore nelle strade. Aldijana si ricorda le notti passate nello scantinato della scuola per la paura di essere colpita da una granata sulla sua via verso casa e l’angoscia dei genitori che passavano quelle notti senza avere sue notizie. Aldijana non vuole ricordare, è contrariata da tutte le commemorazioni del ventennale che trova uno spettacolo ad uso e consumo del resto del mondo. Le vittime e l’assedio sono ricordi vividi, presenti ogni giorno nella sua vita e pensa che “un giorno solo non sia abbastanza per ricordare”. Aldijana vuole andare avanti e sogna una Sarajevo diversa per i suoi due figli, la Sarajevo multietnica che si ricorda prima della guerra. Lei è figlia di un matrimonio misto, non appartiene a nessun gruppo etnico e a nessuno vuole appartenere, nonostante ciò giochi a suo sfavore. Da cinque anni cerca lavoro, e sa bene che la sua ‘non appartenenza’ rappresenta un continuo ostacolo. Quando le è stato chiesto di specificare il suo  gruppo etnico per poter partecipare al concorso di polizia, ha deciso di definirsi come ‘altri’ e per questo la sua domanda non è stata accolta (la Costituzione della Bosnia e Erzegovina prevede che per l’assunzione in taluni impieghi statali siano rispettate le tre quote etniche. Bosgnacchi, croati e serbi: la quota ‘altri’ non è prevista).

Irena ha venticinque anni. Durante l’assedio è andata prima in Svizzera e in un secondo momento in Ungheria. L’assedio e la guerra non fanno parte dei suoi ricordi, e quindi al suo ritorno si è scontrata con un una realtà a lei sconosciuta. Irena ha frequentato l’università a Tuzla, dove per la prima volta le è stato chiesto di specificare la sua appartenenza etnica. Mi racconta, con il sorriso sulle labbra, di aver copiato dalla vicina la risposta. Pensando di scrivere bosniaca, cittadina della Bosnia Erzegovina, copiò bosgnacca. Irena ha origini croate, il suo cognome parla per lei, ma oltre a non dare importanza al gruppo di appartenenza all’età di ventitre anni ha deciso di convertirsi alla religione musulmana. Non ha partecipato alle attività organizzate per l’anniversario, avrebbe voluto ma non ha avuto il tempo per prendervi parte. Irena non vuole sviscerare il significato delle commemorazioni ma è convinta che sia un fattore positivo che i media internazionali abbiano ricordato Sarajevo, soprattutto se questo potrà servire a ottenere più fondi per la Bosnia e Erzegovina e la sua popolazione. Irena a Sarajevo vuole rimanere e sogna una Sarajevo dove tutti siano bosniaci e abbiano la possibilità di credere nella religione che sentono più vicina, a prescindere dalla loro etnia. Irena vuole credere al suo sogno, ma nei suoi occhi si legge la delusione per il sistema politico ed i suoi rappresentanti eletti che vede come manipolatori e fomentatori delle divisioni già esistenti tra gruppi etnici.

Tre memorie di un passato comune che li ha portati a vivere tre esperienze unicamente diverse. Tre presenti diversi accumunati dall’insofferenza per una classe politica che non li rappresenta. Tra vent’anni immaginano una Sarajevo di tutti i bosniaci, ma rimane ancora la paura che questo sogno sia irrealizzabile.


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