Boyhood

Creato il 25 ottobre 2014 da In Central Perk @InCentralPerk
Andiamo al Cinema
"Anche se la durata totale del film rasentava le 3 ore, sarei andato avanti con la visione altre 7". Queste le parole di un critico a Cannes dopo aver visto La vita di Adele.
E queste anche le parole che mi sentii di condividere lo scorso anno a proposito di quel film.
Queste parole tornano alla mente anche oggi, dopo che le luci in sala si accendono, dopo che per quasi 3 ore si è visto letteralmente crescere sotto i nostri occhi un bambino. Perchè il viaggio assieme a lui potrebbe continuare ancora e ancora, perchè la curiosità, e la delicatezza del racconto, portano ad essere difficile il distacco, e la fame non del tutto saziata.
Conosciamo Mason a 8 anni, mentre osserva e contempla il cielo, lo conosciamo nella sua fase più fragile, forse, in cui una madre che come lui deve crescere, cerca e deve trovare un posto nel mondo, sradica i due figli partendo per quella che sarà solo la prima tappa di una serie di traslochi.
Puntualizziamo: la vita di Mason  non è speciale, nonostante i matrimoni fallimentari di una madre che sceglie sempre male, nonostante i diverbi con una sorella giusto un po' egoista, è la vita di un figlio di genitori divorziati, che cresce sballottato tra una casa e l'altra, provando alcol e droghe, conoscendo l'amore e la passione.
Linklater ci mostra tutto questo scegliendo volta per volta dei 12 anni che deve seguire, non sempre le decisioni e i momenti più drammatici o critici, lasciando invece goderci lo scorrere del tempo, le situazioni più ordinarie di una colazione, di un giorno di lavoro, di un weekend fra i tanti con un padre a suo modo esemplare.
In queste scelte, sta la trama del film.
In queste scelte, sta la grandezza del film.

Sì, perchè se quello che ci viene raccontato è in sintesi la crescita di un bambino, la sua maturazione e l'arrivo di quel tragico/eroico/cruciale momento in cui si stacca dalla famiglia per iniziare un percorso tutto suo al college.
E attraverso quanto di questi anni, di questo scorrere del tempo ci viene mostrato -in un filtro sicuramente ampio- sta la magia di Boyhood.
Banale? Scontato?
No, nella sua ordinarietà sta la chiave di questa magia e di questa grandezza.
Perchè ognuno di noi ha assistito al litigio dei genitori, ha subito angherie a scuola, non ha avuto voglia di studiare, si è innamorato una prima volta, ha vissuto la prima vera storia d'amore (finita male).
E tutto questo accade a Mason.
Certo, di mezzo ci sono dei patrigni non esemplari, c'è uno sguardo attento che fotografa con passione e talento, e ci sono riflessioni sul mondo di oggi in puro stile Linklater, che filosofeggia a mente libera.
Ma la sua vita potrebbe tranquillamente essere quella di ognuno di noi, non c'è spettacolarizzazione non c'è quel punto di svolta che magari ci si aspetta.

Linklater fa del tempo ancora una volta un protagonista del suo racconto, e dopo aver seguito per 18 anni la nascita, la rinascita e il crescere di una coppia, realizza il suo progetto più importante e strabiliante seguendo e ritrovando quello che era un bambino e che ora è quasi un uomo.
39 giorni di riprese in 12 anni.
39 giorni in cui, dal 2002 al 2013 troupe e attori si sono reincontrati, trovandosi una ruga in più, un nuovo taglio di capelli, qualche chilo di troppo.
Perchè anche questa è la vita.
E ad ogni incontro, una nuova tappa veniva compiuta e girata, lasciata sedimentare, incasellando e incastonando musiche, oggetti, giochi e evoluzioni del mondo stesso (da Harry Potter, all'Xbox a Facebook).
Se all'inizio Samantha balla sensuale scimmiottando Britney Spears, da adolescente anela poi ad andare al concerto di Lady Gaga, facendo della musica, dopo il tempo, un altro protagonista fondamentale di questa storia: la colonna sonora da intenditori spazia dal country texano ai Coldplay, fino ai più indipendenti e suggestivi brani che volta per volta accompagnano la crescita di Mason.
A fargli da mentore, in questo campo, un Ethan Hawke che si ama ancora di più, un padre amorevole, che pur non essendoci così spesso nella vita dei suoi figli, vuole lasciare il segno. vuole viverli con intensità, anche solo se con un personalissimo Black Album dei Beatles.
Mason  non è infatti il centro unico di questo racconto, attorno a lui gravitano genitori a volte più immaturi di un adolescente, che vediamo sbagliare, arrabbiarsi, disperarsi. Vediamo Hawke e una fisica Patricia Arquette invecchiare ed ingrassare, stropicciarsi, scendere a compromessi, finendo per essere sempre più genitori amorevoli, per prendere coscienza, anche loro, di quanto percorso, guardando con fierezza un nido vuoto.

Arrivati alla fine, quello che resta è una magia tangibile, la sensazione di aver vissuto con Mason  questi 12 anni, e di aver così rivissuto la nostra infanzia libera e spensierata, la nostra adolescenza tormentata e quel momento cruciale, che magari ancora non è finito, in cui il mondo in tutta la sua ampiezza, ci sta davanti e ci aspetta.
Viene da chiedersi se al di là del progetto decennale del regista che rappresenta sicuramente la particolarità di Boyhood, il tutto avrebbe avuto senso anche senza seguire le trasformazioni fisiche di Ellar Coltrane.
La risposta, per quel che mi riguarda, è sì.
Certo, ci saremmo persi una gran fetta di magia, e la curiosità nel vedere anche solo i primi brufoli o i primi peli di barba, sarebbe mancata e si sarebbe sentita.
Ma rimarrebbe un film sincero e poetico, che diverte e commuove, in cui uno sguardo delicato si posa, e non vorrebbe più chiudersi, soprattutto quando i sorrisi più lievi e complici si dipingono sul volto dei suoi protagonisti e di chi li osserva, facendosi cogliere dall'attimo.

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