“Brain Drain” italiano – Nuove Cifre

Da Fugadeitalenti

Recentemente mi è stata segnalata un’interessante ricerca di Lorenzo Beltrame, datata 2007 e pubblicata con l’Università degli Studi di Trento. “Realtà e retorica del brain drain in Italia. Statistiche, definizioni pubbliche e interventi politici“: questo il titolo del paper, di cui provo a sintetizzare alcuni dati, almeno i più importanti. Vale ovviamente la pena ricordare che si tratta di statistiche vecchie di oltre tre anni: tuttavia, pur sempre interessanti.

Secondo i dati Ocse, nel 2000 il tasso di espatrio dei nostri laureati si collocava al 7%, due punti percentuali in più rispetto al tasso di espatrio generale medio. Percentuali, osserva, Beltrame, che “non sembrano presentare una situazione di brain drain molto drammatica”. La situazione, pur apparentemente nella norma (anche se stiamo parlando di dieci anni fa, e il fenomeno nell’ultimo decennio è verosimilmente peggiorato), mostra tutte le sue anomalie quando andiamo ad analizzare sia il tipo di emigrazione dall’Italia, sia il tipo di immigrazione verso l’Italia.

Partiamo da quest’ultima: i dati Ocse del 2005 mostrano come il Belpaese mostri una limitata capacità di attrazione dei talenti: solo il 12,2% degli stranieri che emigrano verso l’Italia possiede un’educazione terziaria. In Spagna sono quasi il doppio, in UK quasi il triplo… persino la Grecia ci supera. “L’Italia non si è dotata di programmi che facilitino l’immissione di personale altamente qualificato, per cui la maggior parte degli immigrati sono non-qualificati“, scrive Beltrame. A ciò si associa un problema ugualmente grave, che riguarda la tipologia dei nostri emigrati: tra loro è infatti alta la concentrazione di chi è “qualificato”. Questo in un Paese dove la percentuale media di laureati risulta storicamente inferiore a quella dell’Ocse, e solo negli ultimi anni -complice la riforma del 3+2- è riuscita a risalire la china. “Il problema italiano risiede più nella scarsa capacità di attrazione, a causa della quale l’Italia non riesce a compensare le perdite“, osserva Beltrame.

Il suo studio più avanti fornisce altri dati interessanti: secondo altre statistiche Ocse, nel 2005 erano ben 294.767 gli italiani laureati residenti all’estero, 118mila dei quali al lavoro in Europa (in testa la Francia, con oltre 27mila, seguita da UK a 23mila e Svizzera a 20mila). Altri 94mila erano emigrati negli Usa, 40mila invece in Australia. Interessante notare, per Beltrame, come la percentuale di italiani altamente qualificati che lavorano nel settore accademico statunitense sia elevatissima, superando il 20%. “Menti” che la nostra università, marcita insieme ai suoi baroni, ha “regalato” al sistema americano.

Per una consultazione approfondita del “paper” di Lorenzo Beltrame sui “brain drain” italiano potete cliccare qui.

Veniamo adesso ai giorni nostri: giorni difficili, che ci raccontano altre fughe e altre rinunce, da parte di giovani ormai stremati da un Paese in piena fase di “cappottamento”: mi ha ha molto colpito l’indagine di Confcommercio, che ha certificato il crollo verticale del numero dei giovani imprenditori “under 30″ nel Paese, calati dai 278mila del 2002 ai 212mila del 2010. Quasi un giovane imprenditore su quattro è sparito dalla circolazione: più probabilmente, molti di loro sono semplicemente invecchiati, senza trovare adeguato rimpiazzo nelle nuove generazioni, decisamente scoraggiate da un Paese che offre poche speranze di futuro. Il mancato ricambio della classe imprenditoriale italiana riflette in modo speculare il mancato ricambio dei “cervelli” in Italia, ben evidenziato da Beltrame, laddove i nostri giovani laureati se ne vanno, senza essere sostituiti da immigrati con qualifiche quantomeno equivalenti.

Intanto, segnala il Corriere Milano, dopo i danesi anche gli svedesi stanno venendo a fare shopping di medici a Pavia: atterrano, entrano nello sportello Eures, e se ne escono con i nomi di giovani laureati in Medicina pronti a volare verso un Paese dove offrono contratti a tempo indeterminato negli ospedali pubblici, con stipendi fino a 6mila euro al mese e agevolazioni di ogni tipo all’espatrio. Farà pure un po’ più freddo, e d’inverno la luce del sole sarà persino una chimera… ma a queste condizioni chi non accetterebbe l’offerta?

Anche perché qui -nel Sud più profondo d’Europa, nel Sud di un Paese senza più strategia e regia politica- le cose non fanno che peggiorare. Uno studio della Cgil ha messo in evidenza come persino nella ricca area milanese i laureati se la passano male: a Milano e provincia solo il 63% di loro trova lavoro entro due anni dal “pezzo di carta”, in un’area dove ormai ben il 15,8% degli “under 30″ risulta disoccupato. E -allargando lo sguardo all’intero Paese- una recente ricerca di Manpower ha messo in evidenza come l’Italia sia penultima in Europa, nella classifica sulle prospettive occupazionali e sulla creazione di nuovi posti di lavoro. Nel Belpaese la differenza tra la percentuale di imprese che prevedono un prossimo incremento dell’organico e quelle che ne pronosticano un calo fa -8%. Meno della Grecia (-10%), ma molto più di Spagna (-4%) e Irlanda (-3%). Dimentichiamo pure l’Asia, per evitare la vergogna: in Cina siamo al +51%, in India al +42%. In quesi Paesi esisteranno pure vaste sacche di povertà, ma qualcosa si muove. Qui la calma piatta ha ormai lasciato spazio al lento affondamento.

Lo ha certificato pure Confindustria pochi giorni fa: la ripresa in Italia ha perso slancio. E non pare proprio una pausa fisiologica, anzi… in compenso esplode l’evasione fiscale, ora a 125 miliardi di euro, contro cui nulla può la crescita della pressione fiscale (probabilmente sempre più accanita contro gli stessi fedeli “pagatori”), nè accenna a diminuire la quota di “sommerso” rispetto al pil, oltre il 20%. Il tasso di crescita dell’economia nazionale resta anemico, ancorato a pochi decimali sopra l’1%, con centinaia di migliaia di posti di lavoro che saltano come se si trattasse di mosche (in questa recessione quasi mezzo milione di persone è rimasto a casa).

Nel’attuale situazione fanno oggettivamente sorridere, quasi si trattasse di battute da cabaret decadente, le dichiarazioni di Ministri quali Tremonti (“l’Italia deve essere ambiziosa”) e di Brunetta, il quale a inizio settembre addirittura voleva imbastire una “spedizione dei mille”, per far tornare al Sud i migliori talenti. La realtà è che è saltato tutto: zero regia politica (se non il baluardo del “rigore sui conti”, ultima ancora di salvezza di un Paese vicino allo sfascio economico), zero politica industriale (nonostante il Presidente della Repubblica si sia sgolato al proposito, a inizio settembre), poco più di zero investimenti in innovazione.

Temo proprio che i dati sull’espatrio contenuti nella ricerca di Beltrame, aggiornati alla metà di questa decade, abbiano subito negli ultimi anni una drastica impennata


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