La prima cosa che mi sento di dire é che qui adesso fa caldo. Ma sinceramente non é proprio dire qualcosa di speciale se consideriamo che é estate piena. La cosa un pò più sorprendente e pare non usuale, é l'umidità. Solo a stare fermi, appena fuori dall'aeroplano, é sembrato di aver indossato un vestito di lana bagnato. Con la vita in Svizzera, si tratta di una sensazione anomala e un pò sgradevole... Ma vicino all'oceano, la brezza spazza tutto impetuosamente e tutto acquista una consistenza meno fisica.
Sono stato a Salvador de Bahia. É una città di 3 milioni di abitanti, ma in prima battuta non sembra. Certo, andando in centro, il caos riesce a dimostrare il suo volto. La prima impressione é stata di città arretrata. In crescita, per carità, ma città tipo anni 70. Caratteristico il contrasto che porta a attraversare una strada per passare da un quartiere ricco/benestante, a una famigerata Favela. Quest'ultima, costruita come le migliori costruzioni abusive di Napoli, in una serie di lunghe notti, mostra un volto butterato e insano. Il fatto che la povertà sia di casa non deve neanche essere spiegato. La densità abitativa sembra non lasciare spazio neanche ad un respiro. E le persone sembrano già rassegnate al loro percorso attraverso il purgatorio in attesa di quell'inferno paradisiaco che si esplicherà nel carnevale. Paese classista questo Brasile, dove le disparità tra ricchi e poveri si vedono tanto, troppo, perché la massa di chi sta peggio, pur in una crescita del numero di quelli che se la cavano piuttosto bene, é predominante.
Nelle enormi distanze da percorrere, c'é il senso di una desolata, ma affascinante separazione. Neri, bianchi e mulatti convivono: non mi é facile capire quanto bene e quanto male...
Ma sulla strada c'é anche la bellezza di una natura che dice ancora la sua, pur subendo un'aggressione sempre più violenta di un uomo interessato a rendere la vita un minimo migliore nel breve termine. É come se la mentalità coloniale del far di tutto un bottino di conquista, sia sopravvissuta in un modo inatteso nella mentalità finanche di chi tutto questo lo ha subito, pur partecipandovi. Sono infatti quegli stessi mix etnici a appropriarsi del territorio per farne distruttive Favelas, e anche gli stessi a intaccare in ogni dove la natura lasciandola esausta e consumata nel suo tentativo di resistere.
Quelli che mi piacciono e dai quali vorrei imparare, sono i semplici. Sorridono i camerieri, quelliche ti offrono le catenine. E lo fanno con degli occhi dolci e al limite un pò ingenui. É doloroso vedere che su tutti si stende il velo pesante di quella globalizzazione di interessi dove bisogna lasciar cadere scrupoli, domande, allegre spensieratezze, alla conquista del benessere che non é sempre felicità... In questo, noi, io, come occidentali, continuiamo a ergerci come colonizzatori dei costumi e portatori di un verbo culturale decisamente opinabile e di sicuro irrispettoso. Se conoscere per paragonare va bene, mi chiedo quante volte siamo noi disposti a imparare o semplicemente accettare le differenze. Troppo attenti a noi e illusi di essere un faro, con la nostra luce a volte malata, irradiamo anche chi non lo ha chiesto...
Dal mio aereo verso Rio de Janeiro, guardo le lunghe distanze da percorrere. Certamente é una metafora di dove il Brasile sta andando, in una folle corsa verso quel mondiale del 2014 dove la gente si aspetta di mettere in vetrina un'immagine robusta e vincente. É uno di quei progetti dietro cui la nazione assume una consistenza unitaria. La scommessa rischia però di essere un piatto troppo grosso da poter essere perso. La crescita costante, produce benessere, ma cambia storia e valori. Cambia la vita in una parola. E seppure questo processo non può essere fermato, é anche irreversibile nella sua produzione di effetti generali pericolosamente irriconoscibili dopo un pò e potenzialmente sorgente di novità non sempre positive...
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