In Emilia-Romagna la ciambella è il dolce più conosciuto ed apprezzato; con l’impasto di questo dolce semplice, che tutte le “azdore” preparavano nei giorni di festa, si confezionavano e si confezionano tutt’oggi, altri dolci come le raviole, farcite di confettura, le peschine dolci bagnate nell’alchermes e la zuppa inglese, utilizzando le fette di ciambella tagliate sottili, come base, al posto di savoiardi e pan di spagna. A Ferrara è sicuramente più facile trovare la zuppa inglese fatta con la ciambella piuttosto che con savoiardi o basi morbide. In ogni provincia dell’Emilia-Romagna la ciambella ha un suo nome, ed a seconda della forma o farcitura ne ha altrettanti; dalla “zambèla” romagnola, con un lieve sentore di semi di anice e di forma per lo piu rotonda od ovale e con zucchero semolato a finitura ( e che ho fatto qui), si passa alla “brazadèla” bolognese e ferrarese, a forma di ciambella col buco, aromatizzata al limone e con lo zucchero in granella in superficie. A Modena , con lo stesso impasto si fa il “bensone” a forma di esse od ovale e a Bologna, ma anche in altre province si fa la “pinza” (molto diversa dalla pinza veneta fatta con lievito di birra), che non è altro che impasto di ciambella arrotolato, farcito di mostarda bolognese. Le amiche Armelline ne hanno fatto una bellissima qui. C’è poi la distinzione tra “brazadèla tèndra” e “brazadèla dura”...insomma, un'infinità di varianti che in comune hanno tutte un impasto estremamente rustico la cui ricetta risale alla notte dei tempi, forse medievale, di origine prettamente contadina e che celebrava i giorni e le occasioni di festa, che fossero feste famigliari o religiose. Come in tutta Italia, le ciambelle anticamente avevano il buco per potere essere trasportate nelle fiere o comunque vendute dagli ambulanti, che le infilavano in bastoni di legno o addirittura le infilavano in un braccio, “braz” in dialetto (e da qui forse l’origine del nome) e con l’altro forse servivano il vino di accompagnamento. Ho letto in qualche libro che era uso non molto lontano, regalare ai cresimandi, da parte dei padrini e delle madrine, una pila di brazadèle, sette o otto, a forma di piramide, di grandezze diverse, unite da un nastro. Pare che venissero cotte sui coperchi di varie misure delle pentole, per ottenere il buco nel dolce modellando le ciambelle intorno al manico centrale. Era un dolce che si faceva soprattutto nella stagione di uccisione del maiale nelle campagne, quando abbondava lo strutto, con cui ancora oggi molti preparano la ciambella. La brazadèla, o ciambella che sia, non necessita di molta raffinatezza d’ esecuzione ed a mio parere va impastata a mano, deve essere un impasto piuttosto grezzo e non va neanche messa nello stampo come indicano certi ricettari e come molti fanno; un tempo si cuoceva dopo il pane, nei forni di paese, dove ogni donna portava, adagiata sulla sua róla (la teglia) , la propria ciambella nel giorno di festa.
Ingredienti:
300 g di farina debole (0 o 00) 120 g di zucchero 100 g di burro 2 uova medie intere
una bustina di lievito ( io uso quello fatto di cremor tartaro e bicarbonato acquistabili nei negozio bio) scorza grattugiata di limone qualche cucchiaiata di latte zucchero in granella
Far ammorbidire il burro a temperatura ambiente. Da parte sbattere leggermente le due uova in una piccola ciotola. Disporre la farina a fontana sopra ad un tagliere; fare un buco al centro e metterci tre quarti delle uova sbattute. Tenetene da parte un quarto che vi servirà per spennellare la ciambella prima della cottura. Unire il burro morbido a fiocchetti, lo zucchero, la scorza di limone, il lievito ed impastare velocemente. Se necessario, aggiungere qualche cucchiaiata di latte. L’impasto deve avere la consistenza di una pastafrolla piuttosto morbida. Modellare un cilindro, stenderlo su una teglia rivestita di carta forno unendo le estremità creando un buco piuttosto grosso (in cottura tenderà ad unirsi), spennellare con l’uovo rimasto, cospargere con abbondante granella ed infornare a 180°C fino a doratura.