Brescia, la serie A e una città distratta

Creato il 15 giugno 2010 da Marcotoresini
Il Brescia calcio torna in A ed è subito stadio pieno (per quanto conceda l'agibilità di una struttura che mostra tutti i suoi anni) e tripudio per le strade fino all'alba. Vi segnalo sul tema una riflessione di Massimo Mucchetti (nella foto sotto) nelle pagine lombarde del Corriere della Sera. Ex giornalista di Bresciaoggi, poi all'Espresso, oggi vicedirettore ad personam in via Solferino, Mucchetti che sa leggere i conti, fa i conti in tasca ad una città che con la sua squadra di calcio ha sempre avuto un rapporto tiepido (i numeri di Verona, anche con la squadra in Lega pro, o Bergamo, tanto per restare in tema, sono tutt'altra cosa)
"Sì i clacson - scrive - hanno rotto il silenzio che precede il lunedì... Ma la soddisfazione resta minoritaria. Le rondinelle non mobilitano più una terra che ha ormai troppi soldi per seguire la squadra di calcio..." Al vecchio Rigamonti si preferisce Ponte di Legno o Campiglio d'inverno e i laghi d'estate e Gino Corioni, a cui Mucchetti tributa il merito di una promozione che, come le altre, è quella di un uomo solo in panchina, è l'unica persona degna di gratitudine, perchè "se è pure un tifoso vero, il banchiere Giovanni Bazoli non traffica, come altri, con le squadre di calcio". Ma "il Gino non è un Moratti, un Agnelli o un Berlusconi per far identificare maglia e città...".
Una città che, finale del play-off a parte, segue la squadra del cuore con i soliti "otto gatti" perchè "Brescia è provincia di piccola e media impresa, zona di cavalieri soli, che non si sfidano e dunque si sfidano. Nemmeno quando aveva un establishment (oggi ha solo gruppi di potere), Brescia eleggeva il calcio a sacra reppresentazione della vocazione populista delle elite. Del resto, quando presidente era un Beretta, l'indimenticabile Carlino, la squadra remava senza rimedio in serie B".
Un'analisi che forse si può anche non condividere fino in fondo, ma che ha molti lampi di verità e un pregio: quello di ricordare un giornalista che non c'è più e che pur smoccolando, come fanno i burberi benefici, avrebbe gioito dal cuore per il suo Gino e il suo Brescia tornati tra i grandi, senza la retorica che, a cascate, si è vista in questi giorni. Quel giornalista (nella foto a fianco) si chiamava Giorgio Sbaraini (noi lo salutammo così). Chissà se qualcuno ha portato una sciarpa bianco azzurra sulla sua tomba nel cimitero di Lograto?
LA CITTA' CHE FA FESTA

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