La società, poi, ha aderito ai rilievi dell'Agenzia versando una somma di 22,8 milioni di euro. Gli schemi contrattuali architettati - spiegano all'Agenzia - erano solo formalmente indipendenti fra loro, perchè legati a doppio filo dalla valutazione del beneficio complessivo che avrebbero potuto apportare in termini di risparmi di imposta.
Si tratta innanzi tutto di un meccanismo di cambiale internazionale (promissory note) in base al quale l'azienda aveva stipulato un contratto di finanziamento con un soggetto comunitario attraverso l'intermediazione di un operatore finanziario stabilito in un paradiso fiscale, con un effetto finale duplice: da un lato un credito di imposta per gli interessi attivi corrisposti dall'intermediario, dall'altro venivano dedotti gli interessi passivi dovuti al soggetto comunitario per il finanziamento. I meccanismi dei contratti finanziari derivati erano invece alla base del secondo e terzo meccanismo messo in atto dall'azienda.
Nel secondo caso, in particolare, la combinazione di due operazioni distinte aveva l'effetto finale di generare una perdita deducibile e un ingente dividendo tassato solo in parte, mentre l'ultimo sistema consisteva in un investimento il cui esito dipendeva dalla fluttuazione dei tassi di cambio. Tale scommessa, prevedibilmente persa dall'azienda, aveva generato una consistente deduzione ma anche un dividendo non interamente tassato.