Quando vidi John Wick partii con determinate aspettative che, devo ammettere, erano piuttosto alte dopo aver letto quel che ne pensavano altri sulla bloggosfera, mentre io non avrei dato a questo film neanche due euro, vuoi perché i registi David Leitch e Chad Stahelski sono dei signor nessuno dietro la macchina da presa, vuoi perché il protagonista è Keanu Reeves, uno che è stato il tuo idolo fino alla fine degli anni '90 ma che poi ha fatto tante di quelle vaccate da spezzarti il cuore. Però, dicevo, alla fin fine tutti ne avevano parlato bene e anche io ne avrei parlato se non fosse che è successo quel che è successo nella mia vita reale di qualche mese fa tanto da farmi dimenticare John Wick, Keanu Reeves e i motivi per cui questa pellicola mi era piaciuta.
John Wick è un uomo con la vita che è andata in frantumi. Sua moglie e morta e con lei è morta ogni speranza per una vita felice di un uomo che questa felicità non l'ha mai meritata. Perché John non è una "persona normale" e quando un gruppo di malavitosi russi irrompe in casa sua, gli ammazza il cane e gli frega l'auto, sarà lo spettatore il primo ad accorgersene.
John Wick è un film preso di peso dalla fine degli anni '80/inizio dei '90. Un action di quelli duri e puri, basati su un canovaccio pretestuoso, che progredisce scena dopo scena, azione dopo azione, tra mazzate, colpi di pistola, ancora mazzate, duelli all'arma bianca e inseguimenti in auto. Con un protagonista che ha solo un'espressione, che sia incazzato, triste o glaciale non cambia mai faccia ma alla fine non ci frega, perché per circa un'ora e venti minuti ci da quello che noi vogliamo. E non potremmo volere altro se stiamo guardando questo film che, in effetti, altro non può dare. La storia di un ex killer della mafia russa che ammazza l'intera mafia russa di New York per vendicare la morte del suo cane, l'ultimo confine prima del nulla cosmico, dell'infelicità senza rimedio, magari del suicidio. E nei panni di questo killer, di questo uomo nero/baba yaga spauracchio dei piccolo mafiosi, di questa macchina di morte inarrestabile, c'è un Keanu Reeves che ricorda lo Schwarzenegger di Terminator in The Killer di John Who. Che è una leggenda, il cui nome è il suo background e che ancora prima di scendere in campo ci ha già convinto della sua cazzutaggine. Anzi, credo che i migliori minuti del film siano proprio quelli che vanno dal fattaccio più o meno al ventesimo fino all'inizio del casino con la prima sparatoria nella discoteca/piscina, quando di John Wick (il vero John Wick, non quello addolorato che abbiamo conosciuto all'inizio del film) sappiamo solo quel che ci hanno raccontato e non vediamo l'ora di vederlo in azione, un po' come quando, la notte di Natale, il momento migliore era l'attesa prima di aprire i pacchi regalo.
E alla fine il film non ci da molto più di un'ora e quaranta minuti di ignorante e selvaggio passatempo, con queste scene d'azione che fondono oriente ed occidente, con quei pretesti per rappresentare massacri e spruzzare sull'occhio della MDP ettolitri di sangue, sacrificando un attorone come Willem Dafoe, irritandoci con quella faccia da Reek di Alfie Allen e portandoci al confronto finale con un gigioneggiante Michael Nyqvist, mentre Adrianne Palicki spreca tutto il suo sex appeal in un ruolo inutile e senza sex appeal. E John Wick diventa un film contaminato dall'action di un moderno videogioco (lo sanno bene i due registi/ex stuntman, che in una scena evidenziano il parallelo tra le loro coreografie e uno sparatutto in prima persona) e dal montaggio di un fumetto alla Frank Miller ma che, geneticamente, viene dal passato e piacerà solo a chi quel passato lo ha vissuto. Per tutti gli altri sarà soltanto un film figo con la solita fotografia azzurro funereo e patinata, i soliti rallenty e quel tipo di azione fulminante a cui non siamo più abituati, ma basta poco più di un'ora e mezza per riaccendere la memoria e tornare a ridere di gusto.