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Breve profilo geostrategico della spagna franchista nel dopoguerra

Creato il 10 marzo 2014 da Eurasia @eurasiarivista
Spagna :::: Enrico Trotta :::: 10 marzo, 2014 :::: Email This Post   Print This Post BREVE PROFILO GEOSTRATEGICO DELLA SPAGNA FRANCHISTA NEL DOPOGUERRA

Prima di analizzare le caratteristiche geostrategiche e politiche della Spagna retta da Francisco Franco, è doveroso soffermarci su alcune premesse. Solitamente si considera la Spagna nel periodo anteriore al 1936 una nazione ai margini dell’Europa, dal punto di vista economico e politico. Questa classificazione non corrisponde perfettamente alla realtà. Già prima della guerra civile, la Spagna manteneva fitti rapporti con le altre potenze europee e specialmente con quelle interessate all’utilizzo del Mediterraneo per i propri interessi strategici. Si pensi alle importanti transazioni economiche anglo-spagnole: nel 1935 il 21% delle esportazioni britanniche di armamenti avveniva verso la Spagna, mentre quest’ultima esportava importanti quantità di minerali agli inglesi¹. Ancora, le relazioni e gli accordi tra i rappresentanti del variopinto agglomerato politico iberico e gli altri partiti europei erano frequenti. Non solo le affinità politiche congiungevano gli uomini spagnoli, francesi ed italiani, ma anche la stessa posizione strategica della Spagna giocava un ruolo chiave nel gioco delle alleanze. L’Italia di Mussolini era particolarmente interessata all’utilizzo delle Baleari per tagliare le vie di comunicazione francesi con le colonie nord africane ed ottenere così una completa egemonia nel Mare Nostrum. I dirigenti fascisti, per realizzare i propri obiettivi geostrategici, mantenevano cordiali contatti con i falangisti ed i monarchici spagnoli, quest’ultimi molto vicini alla casta militare e quindi in grado di poter influenzare politicamente un eventuale pronunciamiento. Questo intreccio di interessi economici, politici e militari dei paesi europei nei confronti della penisola spagnola spinse le varie potenze dell’Antico continente ad assumere le relative differenti posizioni durante la guerra civile, definita come una prova generale dell’ormai prossimo conflitto mondiale. Gli anni che seguirono il celebre alzamiento del 17 luglio 1936 diedero l’opportunità a Franco di consolidare e rafforzare i tratti politici ed economici della sua nuova Spagna. Era una sfida sicuramente molto difficile quella che si profilava al Caudillo, il quale, inoltre, avrebbe dovuto affrontare l’arduo compito di rimettere in piedi una forza militare gravemente menomata dal conflitto con i repubblicani. La neutralità spagnola nel corso della Seconda Guerra Mondiale contribuì a non accentuare il bilancio negativo dell’economia, già di per sé in crisi, e soprattutto, considerando l’esito del conflitto per l’Asse, fu una mossa che consolidò nel breve periodo il consenso popolare nei riguardi del Generalissimo. Sventata l’ipotesi della guerra, l’arretratezza della Spagna nei confronti delle altre potenze rimaneva però consistente. Questo era un fattore da tenere in grande considerazione; la “Cortina di ferro” sancì l’inizio del bipolarismo, e il regime franchista, che aveva sempre tenuto in buona considerazione l’appena sconfitto nazifascismo, non riusciva chiaramente a guadagnarsi la benevolenza dell’opinione pubblica mondiale. Eppure il Caudillo, nonostante non potesse più contare sui vecchi alleati ideologici, non ricercò con insistenza, fino alla fine degli anni ‘40, nuovi sbocchi in altre terre. Una politica di parziale isolamento internazionale fu molto probabilmente una mossa poco oculata, soprattutto per le condizioni in cui verteva la Spagna. Un eventuale crisi diplomatica, o addirittura una guerra, comunque improbabile, con il mondo democratico-liberale sarebbero state disastrose, considerando che dopo il 1945 le forze armate spagnole avrebbero potuto al massimo combattere una riedizione della Seconda Guerra Mondiale ma assolutamente non avrebbero potuto competere con la preparazione delle altre nazioni. La Spagna, geograficamente protesa verso l’Oceano e parte integrante del Mediterraneo occidentale, avrebbe dovuto avere nelle unità navali la sua punta di diamante. Il regime franchista avrebbe avuto, inoltre, la necessità di agire tempestivamente con la forza diplomatica e militare della flotta qualora uno dei suoi possedimenti coloniali, come la lontana Guinea Equatoriale per esempio, fossero stati messi in pericolo. Sfortunatamente l’Armada Española non faceva eccezione ed era infatti tutt’altro che competitiva. Durante il conflitto del 1936-1939 la marina subì il peso della guerra al pari delle altre forze armate. I continui ammutinamenti, il sospetto spesso infondato verso gli ufficiali, le due Armade contrapposte, quella Repubblicana e quella Nazionalista: tutto questo fu l’emblema di quel sanguinoso conflitto fratricida che si svolse, nel suo piccolo, a bordo della maggior parte delle navi spagnole. Durante la guerra erano state messe fuori combattimento le uniche due corazzate della flotta, la “Jaime I”, utilizzata dai repubblicani, e la “Alfonso XII” manovrata dai nazionalisti. Grave perdita fu anche quella dell’incrociatore pesante “Baleares”, la cui costruzione iniziò nel 1928 secondo i dettami stabiliti dalla Conferenza navale di Washington. Molto significativo in questo contesto è il fatto che il gemello dello sfortunato “Baleares” era l’incrociatore “Canarias” che rimase la nave ammiraglia dell’Armada Española fino al 1975. Poco più consistente era il numero degli incrociatori leggeri, tra cui il “Méndez Núñez”, l’“Almirante Cervera”, il “Príncipe Alfonso” e il “Miguel de Cervantes”, tutti risalenti al periodo antecedente l’alzamiento. Insomma, la Marina possedeva unità antiquate e in un numero comunque troppo contenuto anche per poter esercitare, in caso di conflitto, il Sea denial a protezione delle proprie coste mediterranee o a difesa del Sahara spagnolo rivierasco dell’Oceano Atlantico.

Appurata l’arretratezza dell’apparato militare spagnolo, ed in particolare della Marina, proprio per quanto riguarda i possedimenti coloniali bisognerebbe dedicare una breve analisi a parte. Nel dopoguerra la Spagna manteneva il protettorato del Marocco, l’estesa regione del Sahara occidentale, il territorio di Capo Juby e l’Ifni, oltre che la lontana Guinea spagnola. Da un punto di vista strettamente strategico l’eredità coloniale aveva complessivamente poco valore. Le Canarie offrivano già un avamposto nell’Oceano Atlantico e un ruolo speculare veniva ricoperto dall’arcipelago delle Baleari nel bacino mediterraneo. La Guinea Equatoriale, isolata, non riusciva da sola a dare un importante slancio verso l’Oceano Indiano, anche perché quest’ultimo sarebbe stato facilmente raggiungibile dalle le navi iberiche attraverso il canale di Suez. Il Marocco spagnolo era invece ancora fondamentale, se non altro per le importanti basi installate in quelle che oggi sono le plazas de soberanía; tra le più importanti erano sicuramente quelle di Melilla e Ceuta, quest’ultima come un potenziale contraltare di Gibilterra, data la sua posizione geografica. Dal punto di vista economico, i giacimenti di ferro del Rif costituivano un’importante risorsa per la penisola Iberica. I materiali ferrosi venivano esportati principalmente alla Gran Bretagna e naturalmente verso la penisola iberica². Nel Sahara era stata realizzata l’oasi artificiale di El Aaiún, divenuta in breve tempo il centro amministrativo e militare, oltre che la città più popolosa della più occidentale delle colonie spagnole. Il terreno ricco di fosfati, inoltre, costituiva il principale interesse nei riguardi di quel territorio africano. La Guinea era utilizzata tradizionalmente per lo sfruttamento delle piantagioni di cacao e caffè. L’impulso alla coltivazione di questi due prodotti tropicali viene fatto risalire all’inizio del XX secolo, quando l’Impero spagnolo dovette sopperire alla perdita di Cuba e delle Filippine. Vale la pena ricordare che, se nel panorama economico globale questo piccolo Stato fu relativamente poco influente nell’era franchista, la situazione cambiò nel 1996, anno in cui vennero scoperti degli importanti giacimenti petroliferi.

L’impossibilità di utilizzare delle forze armate dotate di armamenti moderni, il possesso di terre di scarso valore strategico, fattori uniti ad un’economia già in crisi, portarono il franchismo, già nella prima metà del 1950, all’avvicinamento economico e militare verso le potenze occidentali, con un occhio di riguardo nei confronti degli Stati Uniti. A quest’ultimi si deve l’ammodernamento della flotta e dell’aviazione franchista. Per quanto riguarda la Marina, a cavallo degli anni ‘50 e ‘60 vennero prestate agli spagnoli 5 cacciatorpediniere delle classe “Fletcher”, ribatezzata classe “Lepanto” dagli iberici. Nello stesso arco di tempo Madrid poté affiancare ai vecchi aerei tedeschi d’anteguerra i più moderni Lockheed T-33 Shooting Star, F-86 Sabrejet e HU-16 Albatross, tutti di fabbricazione statunitense. L’importanza dell’apporto militare di Washington si fece sentire durante la cosiddetta “Guerra Olvidada” del 1957-58, cioè la “Guerra dimenticata” dell’Ifni, l’ultimo conflitto armato sostenuto dal regime di Franco. Gli Stati Uniti vietarono alla Spagna l’utilizzo di qualsiasi mezzo bellico da essi prodotto. La conseguenza fu che l’aviazione franchista, in piena guerra fredda, dovette servirsi dei tedeschi Heinkel He-111 e Junkers Ju-52, due mezzi protagonisti della ormai lontana Guerra Civile Spagnola. La guerra dell’Ifni fu un salto nel passato non solo per l’utilizzo di armamenti obsoleti. Per respingere le truppe marocchine, che desideravano riappropiarsi dell’Ifni e del Sahara occidentale avanzando anche attraverso la Mauritania francese, venne costituita una coalizione franco-spagnola che quasi riportava alla mente la lotta che questi due paesi occidentali ingaggiarono contro il tenace ʿAbd el-Krīm nella prima metà del 1920.

Nel complesso, però, quella di Franco era una Spagna che guardava alle Americhe più che al Mediterraneo. Si parva licet componere magnis, si potrebbe scorgere una sottile somiglianza con l’Impero spagnolo della fine del XV secolo, quando tutta l’attenzione dei Re Cattolici era diretta ai territori d’oltreoceano. Se è vero che nel dopoguerra, e nella fattispecie nel periodo “autarchico” del franchismo, la maggior parte delle esportazioni spagnole era diretta verso Londra (20,5% negli anni 1946-1950 e 16,62% nel periodo dal 1951 al 1955³), gli Stati Uniti contendevano il primo posto alla Gran Bretagna. Verso di essi, infatti, era diretto il 15,88% delle esportazioni spagnole nel periodo 1946-1950 e il 12,13% nel 1951-1955⁴ ma soprattutto, già nel periodo 1946-1955, la maggior parte delle importazioni spagnole provenivano da Washington⁵. Non solo gli Stati Uniti però attiravano le attenzioni di Franco ma, nonostante le profonde divergenze ideologiche, la Spagna mantenne durante la Guerra Fredda rapporti diplomatici ed economici anche con Cuba. Nel 1966 si registrò il picco del volume degli scambi tra i due paesi, quando il commercio con Cuba rappresentò il 2,8% del commercio totale della Spagna⁶. Anche dal punto di vista militare, molto solidi erano i legami con gli Stati Uniti. Quest’ultimi, con il Patto di Madrid del 1953, poterono utilizzare basi aeree e navali in territorio spagnolo, opportunamente riammodernate grazie ai capitali statunitensi. Con questo accordo i due Stati raggiunsero un definitivo consolidamento di una durevole alleanza iniziata già dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Dure critiche arrivarono per questo patto dai paesi socialisti, i quali associavano la politica internazionale di Franco a quella di Tito, anch’egli firmatario di patti economici e militari con le potenze occidentali. Come si è detto, la Guerra Fredda non fu dunque un periodo di completo isolamento per Franco, nemmeno nel suo periodo considerato più “chiuso”. Chiaramente le riforme economiche che portarono al Desarollo, e cioè al “miracolo spagnolo” del 1957, unite all’anticomunismo ancora presente nel sistema franchista, portarono nella penisola iberica una più grande quantità di capitali stranieri. La Spagna si trovò inclusa de facto nel polo occidentale e rimase particolarmente invisa al campo socialista, con cui i rapporti economici ed ovviamente politici erano complessivamente molto deboli. Difficile dunque tracciare in modo omogeneo una panoramica della politica franchista, soprattutto quella immediatamente successiva alla Guerra Mondiale e anteriore alle aperture economiche. Come si è detto, in quel complesso periodo la Spagna conservò i vecchi legami con Londra, si preoccupò di mantenere i propri domini coloniali anche con la forza, consolidò una alleanza con gli Stati Uniti considerata improbabile; non si può, in definitiva, parlare di una posizione di equidistanza da parte di Franco durante la Guerra Fredda dal momento che l’isolamento spagnolo era per lo più nei riguardi delle potenze socialiste e non verso il mondo occidentale.

NOTE

1. Enrique Moradiellos, La perfidia de Albión. El gobierno británico y la guerra civil española, Madrid, 1996, pg. 19.
2. José Maria Cordero Torres, The Spanish Territories in Africa 1940-50, pg. 274, Institut de Sociologie de l’Université de Bruxelles.
3. Antonio Tena Junguito, New series of the Spanish foreign sector, 1850-2000, Madrid, 2007.
4. Ibidem.
5. Ibidem.
6. Cfr. Haruko Hosoda, La Spagna franchista e Cuba, “Eurasia”, n. 1/2013.

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