Arrivammo in Messico nell’agosto del 1985, ricordo l’anno perché un paio d’ore dopo la partenza del nostro aereo di ritorno per l’Italia ci fu il terribile terremoto che spazzò via gran parte di Città del Messico e il nostro albergo venne mostrato alla TV tra quelli crollati in un mucchio di pietre (per quelli che volessero insinuare che portiamo sfiga ricordo che in seguito non avvennero più simili eventi nei paesi che abbiamo visitato). Era un viaggio fai da te ‘assistito’, nel senso che aveva un minimo di appoggio per le prenotazioni presso un’agenzia. Non mi dilungherò su come siamo finite a passare una settimana a Tecolutla, salvo che era vicino alle rovine di El Tajin, che volevamo visitare. Tecolutla era nota per la Carcassa o Mostro spiaggiato sulla costa e nient’altro. Per arrivarci si prendeva un traballante autobus locale, che passava attraverso un’impressionante serie di piantagioni di banane. Lungo la strada si potevano vedere i filari di banane, con i caschi già infilati nella camicia di plastica per essere tagliati appena mostravano segni di maturazione e inviati ai centri di distribuzione. Di tanto in tanto i banani erano interrotti dai bilancieri delle pompe di trivellazione che pompavano il petrolio della compagnia nazionale, la Pemex o Petróleos Mexicanos . La regione un tempo era abitata dai totonachi, nemici degli aztechi, ma oggi vi abitano persone da ogni parte del Messico e dei paesi vicini attirati dalle piantagioni e dall’industria petrolifera. La zona è anche famosa per i Voladores di Papantla, una cittadina poco lontana da Tecolutla.
All’epoca ancora andavano di moda i travellers’ cheques e noi ne avevamo una buona riserva in dollari, più dollari in banconote e qualche pesos che cambiavamo con circospezione, visto il livello di inflazione e il tasso di cambio impossibile se avessimo voluto ri-cambiarli in dollari o lire. In generale tutto era filato liscio, perché in sostanza ci eravamo fermate in grosse città, dove gli alberghi ti cambiavano facilmente e c’erano uffici di cambio ovunque. Ma Tecolutla era fuori dei giri turistici internazionali, c’era solo l’Hotel Tecolutla, frequentato da famigliole messicane piccolo borghesi in ferie e commessi viaggiatori. Le due o tre bancarelle in piazza vendevano come souvenir qualche conchiglia e grosse mascelle di squalo, dato che l’area era infestata e fare il bagno in mare, a parte l’inquinamento da petrolio, era fuori discussione anche a un paio di metri dalla riva. Il problema maggiore, per noi, però, non sono stati gli squali, ma il cambio dollaro-pesos, dato che non accettavano pagamenti in dollari. Finiti i pochi pesos che avevamo per pagare il ristorante il primo giorno di permanenza, cercammo di cambiarli all’hotel, ma il direttore ci disse che non poteva farlo perché poi non sapeva quando poteva cambiare i dollari o i travellers’ cheques (in realtà erano intercambiabili, alla faccia delle assicurazioni che in Italia si davano che erano più sicuri). Era meglio se andavamo in banca e dicevamo all’impiegato, un cugino, che eravamo sue clienti. Alla banca il cugino bancario disse che non poteva cambiarceli perché poi gli sarebbero restati là troppo tempo, ma che un suo conoscente faceva contrabbando di dollari col Texas e probabilmente poteva cambiarceli. Ci diede le indicazioni per andare a casa del contrabbandiere, raccomandandosi di dirgli che ci aveva mandato lui. Il contrabbandiere era un tale assai gentile e simpatico, ma era appena tornato dal Texas con un carico e non sarebbe ripartito che dopo un paio di settimane (andava in Texas due volte al mese a fare contrabbando) e che gli dispiaceva molto, ma che non poteva cambiare. Però ci disse di tornare dal direttore dell’albergo e di dirgli che ci cambiasse i dollari, come favore a un amico. Così tornammo al punto di partenza, il direttore tirò fuori una sua riserva di dollari, ci mise dentro i nostri, banconote e cheques, e ci diede gli agognati pesos a un tasso di cambio ragionevolissimo.
Tecolutla era solo una cittadina lungo la costa veracruzana e neanche troppo vicina al confine con gli USA, ma l’aneddoto mostra come tutta la società locale vivesse il contrabbando di valuta (e di qualsiasi altra cosa, ovviamente) come un fatto quotidiano senza particolari timori o segretezza, con banca e contrabbandiere che collaboravano senza farsi concorrenza, e i nostri impicci sono stati probabilmente dovuti al fatto che per i miserabili dollari di due turiste straniere non avevano voglia inizialmente di sbattersi. Avendo raggiunto, però, una forma non violenta di quello che potrebbe definirsi come ‘stallo alla messicana’ (Mexican standoff), di fronte all’evidenza che non avremmo potuto pagare una settimana di albergo e ristorante in pesos, risolsero immediatamente il fastidio di accumulare dollari troppo in anticipo rispetto al viaggio texano successivo. Da quello che ho capito, il non accumulare dollari troppo in anticipo rispetto al viaggio quindicinale oltre frontiera era un’assicurazione contro i rapinatori che infestavano la campagna e potevano venire a saperlo, contro qualche banda rivale di un’altra città, oppure i federales che decidevano di dare uno scossone al secchio. All’epoca il Messico era sotto il regime para-socialista del PRI, il Partido Rivolucionario Institutional, erede della rivoluzione messicana, che basava il suo immenso potere su una rete efficientissima di clientele locali, simili a quelle di alcune nostre regioni. Negli anni 1990 il potere del PRI si è sgretolato, liberando gli spiriti animali del capitalismo messicano più tumultuoso e lasciando aperto il campo a personalità e organizzazioni che rivaleggiano con il potere regolamentatorio dello stato, ma che fanno parte anch’essi delle articolazioni statuali, come Los Zetas (in gran parte ex corpi speciali dell’esercito messicano) e altre organizzazioni. Oggi Tecolutla è un centro del Cartello dei narcos di Verazcruz.
Il contrabbando non è un privilegio della frontiera Messico-USA, che nella letteratura è ‘La Frontera’ per eccellenza. Visitare l’immenso mercato di merci di contrabbando che si estende per ettari alla Triplice Frontiera tra Brasile e Bolivia e Paraguay a Corumbà accompagnate da un prete brasiliano di origine tedesca che ci faceva da guida è un’esperienza. Era il 1990 e all’epoca bastava affittare un taxi e passare il confine boliviano con un modesto omaggio alle guardie di frontiera, senza domande. L’unico intoppo, minimo, era che ‘è cambiato il tenente’ mormorava il soldato al tassista e allora la donazione cambiava un po’, ma niente di eccessivo. Qui si comprava qualsiasi cosa, compresi gli esseri umani, armi e merci di ogni tipo, a seconda delle tasche e della necessità dettata dagli affari. Una pacchia per uno studioso dell’antropologia dei confini e della devianza come chi scrive.
Il prete volle in seguito farci conoscere un vescovo, dato che eravamo molto interessate alla cultura degli indios guaranì che hanno da sempre stretti rapporti con la chiesa cattolica. Il confine tra Brasile e Paraguay a Ponta Pora/Pedro Juan Caballero consisteva all’epoca nel fatto che la parte brasiliana della strada era asfaltata con asfalto nero e quella paraguayana con asfalto rossastro . Ponta Pora è l’ambientazione principale del romanzo Il Partner di John Grisham. La città gemella Pedro Juan Caballero è un grande centro per l’acquisto di elettronica a basso costo e altre merci di consumo di opaca provenienza e un centro nodale del traffico di droga.
Il personaggio interessante che incontrammo nella parte brasiliana fungeva da vescovo e aveva la sede vescovile a Ponta Pora non lontano dall’enorme mercato all’aperto di merci di provenienza ignota e per la maggior parte contraffatte, ma per pagare meno tasse e spese telefoniche, aveva fatto tirare una linea del telefono oltre frontiera, a Pedro Juan Caballero in Paraguay, da dove sbrigava gli affari terreni, più che quelli spirituali. Qui il vescovo diventava banchiere, in quanto gestiva una banca locale di persona. Così andammo a trovare il banchiere.vescovo, per farci cambiare dei dollari in moneta brasiliana (cruzeiros con l’inflazione galoppante, quando il Brasile non era ancora sotto la presidenza Lula). Il banchiere-vescovo fu molto contento di vederci al vescovado, spezzavamo la noia del ‘business as usual’; spedì un tirapiedi dall’altra parte della strada (in Paraguay) a cambiarci i dollari e ci impegnò in un’interessante conversazione sui guaranì. Dato che avevo espresso il dispiacere che un fondamentale libro di antropologia sui guaranì, dell’antropologo Curt Nimuendaju , fosse fuori commercio da anni, il vescovo-banchiere con grandissima cortesia ci regalò la sua copia. (segue)
Breve storia del denaro (parte 17c): contrabbando di valuta in Messico e in Paraguay
Creato il 30 novembre 2012 da DavidePossono interessarti anche questi articoli :
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