Breve trattato sulla sottile arte del go

Creato il 18 dicembre 2014 da Tiziana Zita @Cletterarie

Ho scoperto il Breve Trattato nel 1988 quando sono andata in Francia, a Sanilhac, nell’Ardèche, per uno stage di go. Avevo letto da poco La vita istruzioni per l’uso ed è stata una sorpresa venire a sapere che si trattava proprio dello stesso Perec e che lo scrittore era stato uno dei primi giocatori di go in Francia. Come afferma Jacques Roubaud in un’intervista, i pregi di questo piccolo libro non riguardano la tecnica del gioco, anche perché i tre autori non erano molto bravi, ma contiene una bella riflessione sul go, tanti giochi di parole e un entusiasmo che all’epoca coincideva perfettamente con il mio, avendo da poco scoperto questo gioco meraviglioso.

Ecco com’è nato il Breve Trattato. Claude Chevalley, matematico francese di fama mondiale, aveva imparato a giocare a go in Giappone e nella sua stanza all’università, a Parigi, aveva sempre un goban – la tavola da gioco – con sopra delle pietre. Chevalley era un avido giocatore ma non trovava avversari, così insegnò il go a molti dei suoi studenti, tra cui Roubaud e Lusson nel 1963-64. Poi è stato Roubaud ad insegnarlo a Perec e ad altri scrittori qualche anno dopo, nel 1968. Ed è per trovare nuovi giocatori che hanno scritto il Trattato. Roubaud e Lusson sono andati al Moulin D’Andé, in Normandia, il posto dov’è stato girato Jules e Jim e dove Georges Perec abitava in quel periodo. Vi sono rimasti per un mese e hanno scritto il Breve trattato sulla sottile arte del go.

Nell’introduzione, gli autori parlano del go come di un gioco “praticamente sconosciuto in Francia”, ma è proprio nel 1969 che nasce il primo club di go a Parigi, appare il primo articolo che ne parla su un giornale, viene pubblicato il Breve trattato e soprattutto al caffè Le Trait-d’Union, arriva Maitre Lim, un giocatore coreano 5 Dan che insegnerà il go ai francesi e che, sono orgogliosa di dire, è stato anche il mio maestro.

Così, grazie ai tre autori, il gioco si è diffuso in Francia, dove ora ci sono club e tornei in tutte le città, oltre a un cospicuo numero di libri che ne parlano. Dalla sua nascita, nel 1970, la Federazione Francese di Go ha avuto 11.000 tesserati. Insomma la Francia con i suoi 113 club e i 1416 attuali iscritti alla Federazione è uno dei paesi europei in cui il gioco è più sviluppato.

Maitre Lim

I primi ad introdurre il go in Occidente furono un gruppo di matematici tedeschi tra i quali Edward Lasker, cugino del leggendario giocatore di scacchi Emanuel Lasker. Nel 1937, Lasker è stato anche tra i fondatori dell’American Go Association, a New York. L’associazione oggi conta circa 2000 iscritti, ma sono decine di migliaia i giocatori statunitensi attivi su internet e quelli che sanno giocare sono ancora di più.

In Europa, i giocatori attivi nei tornei nell’ultimo anno sono stati circa 6500 e più di 30.000 hanno giocato nei tornei dal 1996 ad oggi.
A che punto siamo con il go in Italia? La Federazione Italiana Gioco Go è nata nel 1989 riunendo i due club di Roma e Milano, con l’ambizioso motto di “2000 nel 2000”. Purtroppo una gestione “particolaristica” ha scatenato scissioni, non favorendo la diffusione del gioco che ora conta circa 200 giocatori attivi. Ci sono club in diverse città, ma il go resta un gioco di nicchia ed è poco conosciuto a livello di massa (tanto che se dici che giochi a go nessuno capisce di cosa stai parlando o al limite pensano che si tratti di golf).

Cinque bellezze giocano a go – Giappone, 1793

In questi quasi 50 anni, il mondo del go è molto cambiato anche in Oriente. In Giappone, il paese in cui era più popolare, si è arrivati a quasi 10 milioni di giocatori all’inizio degli anni Novanta. Poi però è iniziato un lento declino. Ora il go in Giappone è più per anziani che per giovani e i club sono molto diminuiti. Qualche anno fa, grazie al manga Hikaru no go – che parla di un ragazzino di 12 anni a cui appare il fantasma di un fortissimo giocatore vissuto mille anni prima – c’è stato una specie di boom, ma poi tutto è tornato come prima. Sul giornale più importante, Asahi Shimbun, una volta alla settimana, nella pagine dei programmi TV c’è tuttora un problema di go. Esistono ancora programmi sul go alla televisione, ma niente più maxischermi nei parchi per seguire le partite dei grandi tornei come accadeva un tempo.

Per quanto riguarda il Far East, al momento sono più attive la Cina e soprattutto la Corea, dove ci sono due reti televisive e un corso universitario sul go. A livello agonistico, alla fine degli anni Settanta, inizio anni Ottanta, la supremazia dei giapponesi è stata minacciata dalla comparsa dei primi professionisti cinesi, mentre dagli anni Novanta sono i coreani a dominare la scena dei tornei internazionali.

Il 1969 è anche l’anno in cui Perec pubblica La scomparsa, il romanzo in cui manca del tutto la lettera “e”. La scomparsa della lettera “e” se ne porta dietro altre, tra cui quella di un misterioso volume. Allora mi chiedo: dov’è finito nel Breve Trattato il diagramma 19 (che guarda caso è il numero delle linee che tracciano il goban)?

Il go appartiene al regno dell’arte, oltre che a quello della logica. Sebbene le regole siano molto semplici, più semplici di quelle degli scacchi, il go può essere molto com­plesso. Da quando nel 1997 Garry Kasparov, allora campione del mondo, è stato stracciato dal software Deep Blue, il gioco degli scacchi è stato ridotto a una mera questione di forza bruta nel calcolo. Il go è diverso. E’ come se contenesse un elemento imponderabile e creativo. Ad oggi il computer non è riuscito a battere un professionista. Nel go si mescolano in modo indissolubile l’aspetto estetico e quello cerebrale. Sì, questo rende le cose più difficili per il computer, ma è in questa completezza che risiede il suo fascino. Lo scrittore americano Trevanian, nel suo romanzo Shibumi, dichiara che il go sta agli scacchi come la metafisica alla partita doppia. E forse è proprio questo aspetto che interessava i tre autori del Breve Trattato, due dei quali membri dell’Oulipo – l’Officina di Letteratura Potenziale – che scrivono: “Esiste una sola attività cui si possa ragionevolmente paragonare il go. Lo avrete capito, è la scrittura”.


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Il Breve trattato sulla sottile arte del go è appena stato pubblicato da Quodlibet, a cura di Martina Cardelli, con la mia postfazione. Grazie alla mia esperienza nel go e al fatto di aver partecipato alle Olimpiadi della Mente, a Pechino nel 2008, l’editore Quodlibet mi ha chiesto di fare un controllo relativo al go e alla sua terminologia.
Vorrei ringraziare quelli che mi hanno aiutato a trovare le informazioni per questa “introduzione”, in particolare: Jérôme Hubert della Fédération Française de Go, Peter Shotwell dell’American Go Association e il mio amico svedese Henric Bergsåker.
Se vi è venuta un po’ di voglia di giocare a go, potete andare sul sito della Federazione Italiana, dove troverete l’elenco dei go-club in tutta Italia.


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