Brides – Tinatin Kajrishvili, 2014 – Milano Film Festival #1

Creato il 05 settembre 2014 da Paolo_ottomano @cinemastino

Brides. Spose che agognano il momento in cui si legheranno per la vita a un uomo che forse non rivedranno mai più. È solo dal 2009 che, nelle prigioni della Georgia, sono permesse le visite ai detenuti: un’ora attraverso un vetro e una cornetta, una volta al mese. Poi si aggiunge una tortura più sottile: il permesso di trascorrere un giorno intero col proprio marito, nel surrogato di una casa che è un ibrido tra un container e il set di un film crudele, il cui finale è rimandato all’infinito. Un tempo, inteso come scorrere dei minuti, che è sospeso e non c’è nulla che riesca a farlo scorrere più velocemente; un tempo, come epoca, che è deliberatamente e felicemente lasciato sempre fuori campo per aumentare il senso di angoscia e spaesamento, dei personaggi e degli spettatori. Goga, il marito della protagonista Nutsa, ci riflette su: come può trascorrere la giornata un detenuto che può solo fare la fila per il bagno, per la colazione, per usare il telefono? La sua unica ragione di vita è sperare che la sua famiglia non si stanchi di aspettarlo, e che il mondo sia ancora riconoscibile quando lui uscirà. Nutsa ci prova, ad aspettarlo, ma anche gli sposi che vivono lontani possono litigare, entrare in crisi.

Tinatin Kajrishvili, giovane regista e produttrice, ha avuto il coraggio di raccontare una storia poco lusinghiera per il suo paese – ogni nazione ha i suoi scheletri nell’armadio, e Sabina Guzzanti ce lo ricorda con La trattativa – ma è comunque riuscita a ottenere i finanziamenti dallo Stato stesso, oltre che da una coproduzione francese. “Sto condividendo sei anni della mia vita”, ha detto al pubblico poco prima che la proiezione iniziasse, e dev’essere una piacevole gratificazione farsi rincorrere dagli organizzatori di un festival che scelgono la sua opera, dopo averla adocchiata ad un altro festival: da Berlino a Milano solo con la forza delle immagini. Brides, infatti, sfrutta al meglio lo specifico filmico: i dialoghi non sono protagonisti perché lo sono gli ambienti (la prigione reale, gli appartamenti ex sovietici diroccati), i volti delle spose, spesso rinchiusi in un primo piano che è ampio quanto le sbarre che le separano dai loro mariti. La vera chicca del film, però, è il finale aristotelico: poco prevedibile ma necessario, coerente con la storia. Speriamo che trovi una distribuzione italiana.


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