Brontis Jodorowsky, un dialogo tra Teatro e Cinema

Creato il 29 luglio 2014 da Wsf

Il théatron, in greco antico è una parola che indica lo “spettacolo”. Il teatro è sempre stata una rappresentazione a beneficio del pubblico, un’opera visiva scagliata contro gli spettatori. È di solito il prodotto di una fusione di Arti, la cui più importante è sicuramente la recitazione, pratica che spinta agli estremi diveniva addirittura sacra presso molte culture.

Il cinema ha poi catturato quell’arte e l’ha posizionata sotto una cinepresa, in modo da immortalare e rivedere l’atto ogni qualvolta il pubblico ne avesse sentito il bisogno. Purtroppo questo ha anche favorito la produzione di materiale scadente, che ha aiutato l’avvento di attori e registi egocentrici e narcisisti, che hanno sfruttato il cinema per crearsi un’immagine commerciale.

Molti sono gli attori che hanno preferito sviluppare una carriera teatrale seria per accrescere la propria arte recitativa e poi si sono successivamente avvicinati al cinema. Brontis Jodorowsky ha eseguito un’orbita più o meno simile come vedremo dalla seguente intervista.

Brontis nasce il 27 ottobre 1962 in Messico, ha origini franco-cilene. È un commediante e regista per il teatro. La sua formazione d’attore avviene principalmente in ambito teatrale con Ryszard Cieslak e poi con Ariane Mnouchkine. Nel 2013 ha recitato nel film del padre Alejandro, “La Danza de la Realidad”.

Quando hai iniziato la tua carriera come attore?

Ho iniziato a recitare quando avevo sei anni in “El Topo” di cui mio padre è regista, quella è stata la mia prima volta. Dopodiché, c’è una mia apparizione in una scena di “The Holy Mountain”, ma la si può vedere solo come bonus nel Dvd, perché venne tagliata nell’editing a causa di problemi legali con la donna che era stata ingaggiata. Poi ho fatto altri due film in Messico con altri registi. Uno di questi si chiama “El muro del silencio” di Luis Alcoriza e vinsi un premio come migliore attore bambino. Sono stato fermo per un po’ di anni e ho ripreso quando ne avevo venti. Prima ho lavorato da solo, in una compagnia come autodidatta per due anni, poi ho lavorato con un attore polacco, Ryszard Cieslak, l’attore emblematico del teatro di Jerzy Grotowski. In seguito ho lavorato per sei anni con una compagnia davvero famosa, il Théâtre du Soleil, diretto da Ariane Mnouchkine. Dopo di che, ho iniziato performance da freelance per circa 20 anni in Francia lavorando con molti registi.
Credo che il mio lavoro non fosse diventare un attore, io lo ero. È per questo che sono stato un attore freelance per 20 anni. Recentemente ho fatto tre spettacoli con mio padre, che è tornato al teatro per me; dopo abbiamo fatto “La Danza de la realidad”.
Ma “come sono diventato attore” è una domanda diversa. Sia mia madre che mio padre erano attori quando io ero bambino. Penso che quando siamo bambini vogliamo essere inconsciamente come i nostri genitori. Dopodiché inizi a recitare al teatro o al cinema, e a quel punto ti rendi conto che è una cosa che ti appartiene: è come stare su una locomotiva che ti guida in un viaggio attraverso la vera vita. Quindi non è solo “essere un attore”: essere un attore è come “ho trovato la mia auto”, es mi vehículo, e quindi esplori la gioventù, il mondo e tutti gli esseri viventi…

Come è nata la tua vocazione per il teatro?

È molto semplice: ho deciso che sarei voluto essere un attore, quando andai con alcuni amici nella classe di teatro. Non volevo farlo, era di sabato, ma ci andai perché ci andarono loro, questo è tutto. Rimpiazzai uno studente della classe che era assente in quel giorno. E, quando finì tutto, dissi: “Wow, è quello che voglio fare!” Se sono diventato ciò che sono oggi, lo devo a qualcuno che non è venuto quel giorno. È come un angelo che mi ha lasciato lo spazio. Ero molto ignorante all’inizio, perché non sapevo quasi nulla riguardo al teatro o al cinema, davvero poco. Quindi iniziai ad osservare per cercare di capire cosa volessi fare. Non trovai molto velocemente quello che volevo fare, ed è per questo che iniziai a studiare da solo perché non potevo trovare un buon maestro.
Ma i direttori del casting dei film dicevano sempre: “oh, sei molto giovane”, “sei molto grande”, “sei troppo basso”, “oh, che peccato hai gli occhi blu”. In quei tempi c’era molta ignoranza, io non potevo capire come prima di tutto potesse esserci l’immagine, e che la prima cosa per un regista era che tu corrispondessi alla sua visione del personaggio. Ma io non lo capivo, ed ero davvero contrariato e arrabbiato, perché non mi facevano partecipare al casting solo perché avevo gli occhi blu.
Quindi sono passato al teatro perché nel teatro tu puoi fare tutto ciò che vuoi. Posso trasformarmi, mettermi una barba folta, una pancia grossa, posso fare la donna… amo lavorare in teatro perché è un lavoro di immaginazione e del codice che decidi per il pubblico. Sento che nel teatro posso fare tutto ciò che voglio. Ero veramente fortunato, ho lavorato tanto, ma sono anche stato fortunato nel trovare persone che realmente mi insegnavano e mi davano cose importanti come Cieslak o Mnouchkine, ho anche avuto la possibilità di andare in scena con altri che erano insegnanti di teatro. Ho recitato Shakespeare, EschiloEschilo è stato uno dei più grandi maestri della mia vita. Quando lavori con un poeta con umiltà, lui ti insegna il teatro. Ero davvero felice di avere una chance per lavorare realmente con tanta gente, per tanto tempo. Così il teatro è divenuto la mia vita. Non avevo bisogno di fare altre cose, fare teatro non ti lascia tempo per fare cinema. Per il cinema devi essere sempre disponibile, perché le riprese di un film devono avvenire entro due settimane o avrai problemi con il film per due mesi. Se sei un attore di teatro, invece, hai bisogno di programmare, hai delle date durante tutto l’anno, hai le tournée… i direttori del casting mi dicevano “bene, non ti chiameremo mai più perché non sei mai libero”. Sono stato davvero fortunato.
Il mio agente mi disse che sarei tornato nel cinema dopo i 50 anni, ed era giusto! Feci un film in Messico chiamato “Tàu” con Daniel Castro Zimbrón, e dopo ho fatto “The Dance of Reality”. Ora sto facendo un altro film in Messico, ho un progetto con dei ragazzi americani… sento di dover fare un po’ di più per il cinema. Non ho problemi nel linguaggio. Posso recitare in inglese, in francese, in spagnolo, anche in italiano. Voglio farlo realmente. Non voglio restare ristretto al teatro, per me il cinema è un mondo nuovo, perché sono più abile a recitare in teatro.
L’attore di teatro e di cinema hanno differenti abilità. Gli attori che fanno cinema hanno altre qualità, non dico siamo migliori o peggiori. Io sento di poter trasformare me stesso. Se tu vedi “The Dance of Reality”, lì ho davvero trasformato me stesso, divenendo qualcun altro.

Da “Tàu” di Daniel Castro Zimbrón

Chi diventi in “La Danza della Realtà”?

Io assumo il ruolo del padre di mio padre, mio nonno. Non potendolo imitare, ho dovuto ricreare il suo carattere. Ho dovuto farlo perché fisicamente non appaio come lui: ho i baffi, i miei capelli sono scuri… nulla è uguale.
Spesso i registi vogliono sempre la stessa faccia, un atto davvero narcisistico. Io non credo nel narcisismo. Per questo credo che il teatro sia un buon modo per iniziare a recitare. Perché non riguarda te, ma riguarda il personaggio che stai interpretando, o il poeta.
Non so se lo sai, ma molti attori americani nel contratto proibiscono di essere ripresi da un certo angolo, per preservare la propria immagine. È una cosa molto narcisistica. Per me non è il caso, io divengo un’altra persona. Nel teatro questo non esiste per definizione. Perché c’è il pubblico e numerosi punti di vista allo stesso tempo.
Ma il punto è: nei film il lavoro non è solamente dell’attore, ma è un lavoro collettivo. Perché dipende davvero molto dalle luci, dal come sei filmato, dalla musica in background, dall’editing. Come attore nel cinema devi dare il meglio. Ma il tuo meglio è solo una parte della performance. Questo tipo di recitazione è qualcosa che tu puoi comprendere solo quando il regista è coerente.
In “The Dance of Reality” puoi vederlo nella prima parte del film, dove recito in un modo realmente teatrale. Ma questo è perché il mio personaggio, per gran parte del film, sta recitando un suo personaggio. Sta recitando il ruolo di un tiranno domestico. Quindi viene mostrato qualcuno che recita durante la propria vita in modo realmente teatrale, ma lo stile di tutto questo film, come ha voluto Alejandro, ha uno stile lirico. Non ha uno stile realistico. Se tutti recitano con questo stile teatrale, sembrerà tutto più naturale, perché tutti rispettano lo stile del film. Come attore non devi solo capire come stai per recitare, ma devi anche capire come essere coerente con lo stile del film come pensato dal regista.

Da “La Danza de la Realidad” di Alejandro Jodorowsky

Hai spesso definito “La Danza della Realtà” come un “Family Work”…

Mmh… ascolta! Ogni souvenir che abbiamo da molto è una finzione, perché si è solo connessi con il momento del souvenir. Se vedo mio padre urlare quando ho 5 anni, ricorderò che mio padre ha una voce sconvolgente; ma se lo vedrò urlare quando ho 50 anni, non sarò impressionato allo stesso modo. Penso che il cinema sia una memoria che realmente connette chi lavora allo stesso modo.
Puoi focalizzare la memoria su un evento in particolare e dimenticare tutto il resto. Non perdiamo nulla, non dimentichiamo nulla: noi ricordiamo gli eventi della nostra vita. Il cinema è questo, quando la camera focalizza qualcosa in una scena. La memoria è quando metti un souvenir, un altro souvenir… e un altro souvenir… e questo dà un certo senso alla storia.
Se ricordi tua madre piangere… per qualsiasi motivo, un giorno ricorderai che tua madre e tuo padre hanno litigato e poi ricorderai qualcos’altro dopo, che tua madre faceva l’amore con tuo padre… e dimenticherai il resto, e rimettendo questi tre eventi insieme dirai: “Wow, mia madre aveva davvero una voce potente”. Non ricorderai che lei piangeva davvero forte, che litigava con tuo padre o che da lui ne traeva piacere. Dimenticherai il resto perché fa parte della vita di tutti i giorni. Il tuo souvenir sarà quindi: “Mia madre ha davvero una voce molto forte”. Ma nel cinema tu modifichi le scene, e tutto dipende da come le modifichi, questo darà un senso diverso alla tua storia. Nel cinema tu fai una cornice, metti tutto nelle foto, ma metti anche qualcosa al di fuori della cornice. E con la memoria tu fai qualcosa di simile. Ricordi la tua famiglia ma metti fuori dalla cornice questo tizio che veniva spesso a casa tua, lo chiamavi “zio”, ma lo sai che probabilmente era l’amante di tua madre. Lo metti fuori dalla memoria. Non vuoi vederlo. Questo è per farti un esempio.

The dance of reality” è basato sulla memoria di mio padre, della sua infanzia, il film parla della sua relazione con il padre (e su quanto fosse terribile) e di quello con la madre. Questo film è il remake della nostra memoria familiare.
Alejandro prende gli eventi reali e li mette nella prima parte del film. Parla della realtà, non ha cambiato la realtà, ma dà una nuova visione alle cose. Cambia il punto di vista in modo da vedere ogni cosa. Con questo atto lui ri-esegue la sua vita, la sua memoria. E la memoria di mio padre è anche la mia memoria, perché io eredito l’immagine di mio nonno e tutte le storie nella mia genealogia… è la mia mitologia. E la mitologia è davvero importante perché è alla base della nostra vita.
Anche se non sei molto religioso, la Bibbia è davvero importante nella tua vita, perché viviamo in un gruppo giudaico-cristiano. Puoi non conoscere la Bibbia, ma leggi comunque la Genesi, e sentirti libero di dargli una tua interpretazione, in modo da comprendere cos’è per te. Non significa credere in Dio o… è solo una storia. Ma è una magnifica storia perché è piena di metafore.
Questo film è finzione per il pubblico, è una storia di un bambino, di suo padre… e più il film va avanti e più è una storia di un padre e di come quest’uomo è uscito da una vera chiusura di cuore: riguarda l’apertura di un cuore. È un processo del mio personaggio.
Ma allo stesso tempo è anche per la nostra famiglia… per Alejandro, per me, per gli altri… è un’esperienza psicomagica. Perché stiamo rivivendo ancora i fatti che ci hanno preceduti. Ma li cambiamo, cambiamo i personaggi. Quindi mio nonno non è mai cambiato nella realtà, è stato sempre lo stesso. Ma in questo film noi lo cambiamo, per cambiare la nostra mitologia, la mitologia interiore e psicologica.
Abbiamo cambiato Sarah, mia nonna. Realizza che è una donna frustrata, sottomessa a suo marito, questo non succede nella realtà. Nel film mostriamo una Donna che è come lei all’inizio, ma poco a poco lei diventa un’insegnante; nel film lei canta, non è mai successo nella realtà, ma lei ha sempre sognato di diventare una cantante lirica. Non lo fece mai perché i suoi genitori non glielo permisero, e quindi fu sempre oppressa. Nel film, lei lo realizza. Quindi ora, nella nostra mitologia familiare non abbiamo più una nonna frustrata, abbiamo una cantante realizzata, e questo ti dà molta forza.
Non è un film realista, è un film poetico. Attraverso la metafora, la parabola, il poema… è più facile entrare in contatto con la realtà che attraverso il realismo.

Dal backstage de “La Danza de la Realidad” di Alejandro Jodorowsky

Alejandro ha fatto il film, è il capitano; io ho recitato come personaggio principale; mio fratello Adan ha composto le musiche ed ha anche una piccola parte nel film (ma essenzialmente ha fatto le musiche e anche le musiche sono un personaggio del film); mio fratello Cristobal ha una piccola parte nel film all’inizio, ma nel film è il primo maestro di mio padre. Cristobal è anche il protagonista principale di Santa Sangre, è davvero magnifico perché in Santa Sangre è un assassino che alla fine diventa consapevole e si libera da sua madre. In questo film lui diviene un maestro completamente illuminato. Non è la stessa storia, non è lo stesso personaggio, ma è lo stesso attore che è come se diventasse libero ufficialmente e si trasformasse in un grande maestro. Ha quindi una parte davvero piccola nel film, ma la fa al meglio: non abbiamo la quantità ma la qualità.
I costumi del film sono stati fatti dalla moglie di Alejandro, Pascale Montandon.
Sì, è stato davvero un film di famiglia.

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