Le torri nuragiche e i palazzi.
di Pierluigi Montalbano
Stimolato dalla lettura di alcuni recenti testi, ho pensato di proporre un quesito che ha provocato la creazione di fiumi di inchiostro da parte dei più illustri studiosi del settore: qual è la funzione primaria dei nuraghe?
L’enorme difficoltà nel formulare un’ipotesi verosimile scaturisce da varie problematiche ancora irrisolte, fra le quali segnalo l’evoluzione cronologica delle varie tipologie (nuraghe a corridoio e complessi, ingressi e tholos da tronco-ogivale a ogivale, finestrelle, torri aggiunte…), la somiglianza (come si vede dalle foto) con alcune strutture del vicino oriente, l’apparente contrasto fra le enormi risorse richieste per la costruzione e la povertà stilistica e decorativa delle ceramiche prodotte nello stesso periodo, la presenza del maggior numero di offerte votive nei pozzi anziché nei nuraghe, l’elevatissimo numero di torri e la distribuzione nel territorio con tipologie diverse, l’assenza di resti di defunti all’interno. Un'altra riflessione riguarda la volontà da parte dei capi clan di concedere porzioni di territorio ad altri individui così da edificare ulteriori nuraghe subordinati al principale e frazionare conseguentemente i possedimenti.
Come se ciò non bastasse, a complicare le cose c’è il fattore guerre: non esistono tracce (o notizie di tradizione orale) di importanti battaglie combattute nei pressi delle strutture, ma alcuni studiosi (me compreso) sostengono che i famigerati shardana, appartenenti a varie coalizioni dei popoli del mare, erano i bellicosi sardi nuragici navigatori. Ed erano temuti e rispettati in tutto il vicino oriente, dall’Egitto alla Turchia…passando per Ugarit, il crocevia siriano dei commerci dell’Età del Bronzo. Come è possibile che questi formidabili spadaccini e arcieri fossero originari di un pacifico paradiso terrestre governato dagli dei e dai sommi sacerdoti?
La mia proposta vede la Sardegna del II Millennio a.C. come una ricchissima terra (ereditò le immense risorse derivate dallo sfruttamento dell’ossidiana, del rame e del pescato) governata da almeno tre etnie (provenienti da occidente, nord-Africa e oriente) che, pur con qualche schermaglia nei confini, collaboravano e contribuivano a tenere lontani eventuali nemici che saltuariamente si presentavano nell’isola per accedere alle risorse minerarie. La casta sacerdotale (a stretto contatto con i sovrani) era intermediaria fra popolo e divinità e contribuì a mantenere la pace nei territori. Ritengo, inoltre, che la società nuragica, almeno per i primi secoli, era gerarchicamente divisa fra capi, sacerdoti, militari, artigiani, mercanti e produttori, e fosse orientata ai commerci oltremare. Questa società elaborò un sistema economico efficiente e vario (agricoltura, allevamento, marineria, pesca, metallurgia) che consentì ai residenti di dedicare tempo e risorse all’edificazione di migliaia di torri che le grandi potenze mondiali conoscevano, ammiravano e temevano. Capisco che questa mia visione romantica dei sardi antichi sia alquanto spoglia di dettagli, ma spero che gli studiosi riescano, alla luce dei nuovi scavi, a colmare le lacune chew ancora non consentono di completare il mosaico degli avvenimenti.
Da decenni tutti i più accreditati studiosi, e con loro una vasta schiera di appassionati alla materia nuragica, cercano di proporre teorie verosimili per giustificare la presenza di migliaia di torri distribuite uniformemente nel territorio sardo. Perfino un nuraghe a due torri è visibile sull’isola di Mal di Ventre. Fortezze, propongono alcuni, luoghi di culto, affermano altri, abitazioni, ipotizzano altri ancora. Ma la soluzione è complessa.
Dopo aver letto tutto e il contrario di tutto ho pensato di cercare di capire che ruolo potessero avere, e vorrei proporre una possibilità di multifunzionalità. Certamente l’impiego di ingenti risorse comunitarie e di tecniche in uso su tutta l’isola ci suggerisce una volontà diffusa di edificare strutture che durassero nel tempo e mostrassero a popolazioni vicine e lontane l’antropizzazione del territorio. Occorre aggiungere che solo due motivazioni possono spingere verso l’idea di strutture grandiose come alcuni edifici a tre torri sovrapposte: la religiosità e un forte potere gerarchizzato.
La prima è facilmente dimostrabile analizzando la struttura muraria, adatta al culto e non alla guerra. Troppo facile per un esercito organizzato (se mai ci fu) smontare le fragili difese offerte da garitte, torri non comunicanti e isolamento interno degli eventuali assediati. D’altro canto si dovrebbe accettare l’idea che oltre 8000 torri sparse sono troppe per essere tutte luoghi religiosi. Spunta quindi un’ipotesi che, nei nuraghe più grandi (a bastioni) potrebbe unire varie funzioni: il palazzo.
Similmente a ciò che accadde in altri luoghi, simili per caratteristiche alla nostra amata Sardegna, si sentì l’esigenza di riunire le funzioni religiose, cerimoniali, civili ed economiche in un unico e ben distinguibile “luogo comune”. Un edificio composto da più vani che racchiude tante potenzialità.
Ma ci sono anche torri singole, quale ruolo assegnare a queste strutture?
Una delle funzioni più accreditate è quella di torri di controllo del territorio, dei guadi, delle vie di comunicazione, dei passi montani, dei confini di pertinenza.
La tecnica costruttiva è simile per quasi tutti gli edifici: si spianava e preparava un piano di calpestio, si orientava secondo la luce e il vento, si predisponevano gli impianti (cisterne e canalette), si decidevano le dimensioni e si iniziava a sistemare il primo filare di pietre, quello più importante, il reggispinta principale.
Quando si presentava l’occasione si sfruttava il materiale già presente (speroni di roccia o grandi massi già costituenti una base su cui poggiare la struttura) per risparmiare tempo e fatica. Il prestigio di una comunità si evinceva dalla maestosità con la quale realizzava il palazzo. Si viveva in pace e le piccole scaramucce fra clan si risolvevano con piccoli aggiustamenti.
Solo una popolazione pacifica può decidere di mettere in gioco simili risorse. Dobbiamo pensare ad artigiani, cuochi, mercanti e tutte le altre professionalità dell’epoca, tutti intenti a realizzare un edificio pubblico per la propria comunità.
Un luogo dove la circolarità dimostra simbolicamente un desiderio di democrazia e una volontà di collaborazione che insieme possono ottenere risultati prestigiosi. Questi poderosi palazzi sono ancora lì, ad osservarci e ad indicarci la strada per una vita migliore: spingere tutti verso una direzione, come facevano i marinai dell’epoca quando dovevano condurre a buon porto le loro abitazioni sul mare, le navi.
Nella foto il Nuraghe Arrubiu ad Orroli.
Nel collage di immagini, segnalo che la foto in basso al centro è tratta dal sito Antikitera di neroargento.