Brooklyn - La Recensione

Creato il 26 febbraio 2016 da Giordano Caputo
C'è una Saoirse Ronan maturata a più livelli in "Brooklyn", che s'imbarca dalla sua terra natale, l'Irlanda, per trasferirsi nella città statunitense del titolo sperando di trovare più fortuna di quella che il suo paese, arretrato, ha saputo concedergli. Sbarcata in America viene ospitata da un'anziana signora cattolica irresistibile, una Julie Walters a piccole dosi, ma efficace, che gestisce una casa piena di ragazze emigrate a cui cerca di impartire, con le dovute distanze, una buona educazione e sani principi. Per la ragazza irlandese è il passaggio decisivo, quello che gli consente di passare dall'adolescente che era a una donna compiuta, con la solitudine e la distanza da casa che la turbano, ma con l'amore nascosto dietro l'angolo pronto ad uscire allo scoperto.
E' un melodramma avvolgente con tracce di commedia, quello diretto dal regista John Crowley, basato sul romanzo dello scrittore Colm Tóibín e adattato in sceneggiatura dall'altro scrittore, ultimamente prestato al cinema, Nick Hornby. Un lavoro piuttosto classico, elegante e bilanciato, che si concede a una prima parte un tantino più leggera, prima di gettarsi a capofitto in quei toni un po' amari che gli competono, inclini al genere e agli argomenti che tira in ballo. Eppure la mano di Hornby - e "Wild" ce lo aveva detto a suo tempo - sa essere più efficace in quei frangenti in cui lo scopo finale riguarda la risata, quella battuta stemperante, affidata in sicurezza spesso al personaggio della Walters, che infatti resta stampato indelebilmente nei ricordi migliori di questo "Brooklyn", insieme all'incontro e agli appuntamenti romantici che edificano la storia d'amore simpatica e dolce tra Ellis e Tony. Perché, sebbene il meglio di sé la pellicola di Crowley avrebbe dovuto tirarlo fuori nel punto di rottura posto a metà strada, che trascina nuovamente la sua protagonista in Irlanda e la mette a contatto con una realtà improvvisamente così diversa da quella che lei stessa aveva abbandonato, a conti fatti, poi, è evidente che le cose vanno assai diversamente, sia per per quanto riguarda l'ottica emozionale, sia per colpa di una scrittura molto meno brillante e imballata.
Finisce quindi per macchiare i tratti distintivi del personaggio della Ronan, il film, nello specifico quando è impegnata ad entrare in crisi per colpa dei segnali inviati dalla sua terra natale che sembra stia complottando per tenersela stretta come non mai. Segnali tuttavia che però non danno mai quel colpo efficace che giustifichi veramente il suo voler rimettere in discussione ogni cosa, soprattutto quella parentesi sentimentale, pura e piuttosto avanzata, aperta con passione e vissuta con altrettanto impeto nell'altra città, ormai considerabile sua, di adozione. Ed è proprio nell'allestimento a diverso impegno che contraddistingue queste due fasi che l'opera di Crowley perde molto di quello smalto che era riuscita a guadagnarsi, nell'esposizione di un dramma che c'è, si sente, ma non trova i giusti appigli per diventare credibile e agganciare lo spettatore, che rimane comunque coinvolto dall'atmosfera complessiva e dal processo di formazione, sebbene mai davvero conquistato.
Convincono così alcuni fattori di "Brooklyn", sezioni, macchie, che sono senza dubbio più incisive e affabili di altre, per una pellicola che nella sua interezza sa essere abbastanza scoordinata, irregolare e sfuggente. Tutto il contrario, se vogliamo, di un'attrice protagonista che, dall'ultima volta che l'avevamo osservata, sembra aver compiuto davvero quel cammino lungo e articolato che porta all'età adulta, che cancella i tratti della fanciullezza per fare spazio a quelli di donna.
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