BRUCIA, RAGAZZO, BRUCIA (1969) di Fernando Di Leo

Creato il 19 agosto 2010 da Close2me

Otto anni prima del Casotto, il maestro Di Leo gira un melodramma balneare, antiborghese e contestatario, più cerebrale ed intellettuale – ma molto meno ironico – della pellicola di Sergio Citti. Un film complesso, ambizioso e purtroppo datato, che tuttavia conferma l’inestimabile attenzione del regista pugliese verso l’universo umano (soprattutto femminile), puntualmente accompagnata da un’inimitabile professionalità tecnica, tanto nella messa in scena quanto nella scrittura.
“Clara, matura signora insoddisfatta del rapporto col marito, si concede al giovane bagnino della spiaggia sulla quale sta trascorrendo le vacanze. Convinta che siano problemi di ordine sessuale i motivi della crisi del suo matrimonio, decide di dire tutto al marito”
Impeccabile innanzitutto il cast: nel ruolo di Clara un’affascinante e fragile Françoise Prevost, oggetto delle esplicite avances del bagnino Gianni Macchia e moglie di Michel Bardinet, interprete di un uomo d’affari totalmente antitetico alla cultura hippy ed anticonformista del giovane rivale.
Un triangolo passionale in odore di morte fin dalle prime immagini, che Di Leo preferisce stemperare con rari momenti comici, affidati ad un’improbabile turista Svizzera (Miriam Alex) e ad una coppia di bambini che rimanda evidentemente ai fumetti dei Peanuts di Charles M. Schulz.
In sostanza un inno alla parità dei sessi ed una difesa critica dell’orgasmo femminile, del quale la protagonista è stata sempre privata in nome di imposizioni maschiliste. Un posizione ideologica coraggiosa e sgradita (i problemi censori vissuti dal film sono stati numerosi) che purtroppo, agli occhi dello spettatore attuale, rappresenta il punto di forza ed il limite principale dell’opera: dialoghi verbosi affidati soprattutto al personaggio del bagnino Giancarlo, eccessivamente ancorati all’epoca contestaria ed appesantiti dal didascalismo dei cosiddetti slogan politici. Scelta che indebolisce in parte un’ottima sceneggiatura, attenta alla psicologia di tutti i personaggi della vicenda e capace di impagabili trovate pop (la stanza degli aforismi dipinti sui muri, il costume “fiorito” di Monica Strebel).
Meritevole di una visione, ma Di Leo ha fatto di meglio con altri generi a lui più congeniali.


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