Bruno Cicognani, Forte dei Marmi

Da Paolorossi

Forte dei Marmi – Foto tratta da Versilia giovinezza del mondo – Pacini Fazzi Ed. 1982

Ora e’ è il tram fra la stazione di Serravezza e il Forte dei Marmi.
Prima, era un’ altra cosa. Bisognava pigliare una carrozza: un trabiccolo infarinato — ma era polvere di marmo — un trabiccolo sgangherato — erano tutti a un modo.
E ci voleva un’ ora a fare que’ quattro chilo- metri!
Che strada! Si capiva sùbito il perché di quello sconquassamento del legno. Solcata com’un campo, ma a solchi più fitti, più stretti e profondi ; un pol- verone — polvere di marmo — dove la strada non era brecciata: la breccia di scaglie di marmo. E i solchi qua e là parevano intrisi di sangue: sangue della Ceràgiola.
Vi ricordate come traballava e sobbalzava il tra- biccolo dall’una all’altra rotaia, stacciando chi era dentro a scossoni che sembrava dovessero spezzare la sala e sfasciare ogni cosa? E il bello era quando s’incon- trava una fila di carri trainati da coppie di bovi — i bovi scuri della Versilia bassi, panciuti, colle corna spropositate; e i carri nani che quasi toccan terra, tozzi, con, su, le masse de’ marmi incatenate. Bisognava far posto al passo lentissimo ma inesorabile delle carovane e adattarsi a pigliar della strada l’avanzo che c’era, com’era. Il più delle volte fermi nella posizione di dar balta. Che strada! tra gli olivi amarocupi tenuti su ad albero e i gattici tutt’un tremolio d’argento al maestrale.

E quell’altra fra Pietrasanta e il Fiumetto, quell’altra strada tortuosa stretta serrata tra gli alberi e i cólti, finché non s’ arrivava a un ponticino sopra un fiumicello morto a’ margini di una pineta: nell’acqua untuosa le borraccine barche stagnanti di sciami, di foglie, di forcelle…. Poi, la strada diritta, di luce, in mezzo alla pineta che crepita, a Luglio. Com’era bello, ne’ pomeriggi di Luglio, quando s’arrivava al ponticino, vedere laggiù davanti, nell’abbagliamento in cui si perdevano le braccia della pineta e il cielo stempravasi lattiginoso, l’ immensa sensibilità tremolare. E se veniva fatto, per riposare gli occhi, di voltarsi addietro, si restava sbigottiti che si vedevano allora sui colli umani d’uliveti e di bianche case soprastare le Alpi spaventose d’enormi fianchi squarciati e di petti dallo scavato respiro e di teste irte ficcate nell’azzurro fondo.

(Bruno Cicognani, Il figurinaio e le figurine, p. 117-118)
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