Il concetto di Big Bang, come l’evento iniziale da cui ha avuto origine il nostro Universo sta ormai passando di moda, anche perché la teoria della relatività generale non è in grado di descrivere ‘ciò che accadde prima della singolarità’ in un punto del tempo appena prima del Big Bang. La teoria suggerisce inoltre che una tale singolarità dovrebbe esistere al centro dei buchi neri ma, di nuovo, la relatività generale viene meno nel descriverla. Ancora peggio, esiste il problema che riguarda il cosiddetto paradosso dell’informazione: in altre parole, cosa succede all’informazione contenuta in un oggetto che cade in un buco nero verso la singolarità? Ad oggi, i cosmologi ‘classici’ non sanno dare una risposta. Dunque, per tentare di risolvere questi problemi, nel 2006 Abhay Ashtekar ed il suo gruppo presso la Pennsylvania State University, formularono una teoria nota come Loop Quantum Gravity (LQG). Essi suggerirono che invece di ammettere l’esistenza di una singolarità poco prima del Big Bang, ci fossero i ‘frammenti’, per così dire, di un universo collassato che esisteva prima del nostro. In altre parole, il nostro Universo non emerse dal nullo con un Big Bang di se stesso, piuttosto esiste un ciclo infinito dove un universo collassa verso un punto molto piccolo per poi esplodere in un Big Bang che, a sua volta, collassa per poi esplodere secondo un processo ciclico, o a “loop” appunto, che va avanti per sempre. Da quel momento, ci si riferisce alla teoria LQG anche con il termine di Big Bounce in sostituzione del termine Big Bang. Nel loro studio, Gambini e Pullin hanno applicato la LQG al caso più semplice di buco nero. Il loro esperimento dimostra che qualsiasi oggetto che viene attirato verso il buco nero non viene compresso fino a raggiungere la singolarità, piuttosto l’oggetto viene ridotto ad una dimensione piccola ma finita per poi essere espulso interamente in un’altra parte dell’Universo o addirittura in un altro universo. Dato che il loro modello funziona molto bene, i due scienziati ritengono che possa funzionare con gli oggetti reali. Se questa teoria si dimostrerà corretta, essa potrebbe un giorno eliminare il paradosso della perdita dell’informazione aprendo così una nuova strada teorica nel considerare i buchi neri come dei veri e propri ‘portali’ verso altri universi.
Il concetto di Big Bang, come l’evento iniziale da cui ha avuto origine il nostro Universo sta ormai passando di moda, anche perché la teoria della relatività generale non è in grado di descrivere ‘ciò che accadde prima della singolarità’ in un punto del tempo appena prima del Big Bang. La teoria suggerisce inoltre che una tale singolarità dovrebbe esistere al centro dei buchi neri ma, di nuovo, la relatività generale viene meno nel descriverla. Ancora peggio, esiste il problema che riguarda il cosiddetto paradosso dell’informazione: in altre parole, cosa succede all’informazione contenuta in un oggetto che cade in un buco nero verso la singolarità? Ad oggi, i cosmologi ‘classici’ non sanno dare una risposta. Dunque, per tentare di risolvere questi problemi, nel 2006 Abhay Ashtekar ed il suo gruppo presso la Pennsylvania State University, formularono una teoria nota come Loop Quantum Gravity (LQG). Essi suggerirono che invece di ammettere l’esistenza di una singolarità poco prima del Big Bang, ci fossero i ‘frammenti’, per così dire, di un universo collassato che esisteva prima del nostro. In altre parole, il nostro Universo non emerse dal nullo con un Big Bang di se stesso, piuttosto esiste un ciclo infinito dove un universo collassa verso un punto molto piccolo per poi esplodere in un Big Bang che, a sua volta, collassa per poi esplodere secondo un processo ciclico, o a “loop” appunto, che va avanti per sempre. Da quel momento, ci si riferisce alla teoria LQG anche con il termine di Big Bounce in sostituzione del termine Big Bang. Nel loro studio, Gambini e Pullin hanno applicato la LQG al caso più semplice di buco nero. Il loro esperimento dimostra che qualsiasi oggetto che viene attirato verso il buco nero non viene compresso fino a raggiungere la singolarità, piuttosto l’oggetto viene ridotto ad una dimensione piccola ma finita per poi essere espulso interamente in un’altra parte dell’Universo o addirittura in un altro universo. Dato che il loro modello funziona molto bene, i due scienziati ritengono che possa funzionare con gli oggetti reali. Se questa teoria si dimostrerà corretta, essa potrebbe un giorno eliminare il paradosso della perdita dell’informazione aprendo così una nuova strada teorica nel considerare i buchi neri come dei veri e propri ‘portali’ verso altri universi.
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