Anche in Palestina esiste la possibilità di condurre la lotta contro l’occupazione della propria terra in modo non violento. Questo documentario della regista Julia Bacha, statunitense di origine brasiliana, racconta della resistenza degli abitanti di Budrus, piccolo villaggio della Cisgiordania, contro la costruzione nella loro terra della barriera che Israele sta realizzando per frenare tentativi di infiltrazione da parte di palestinesi intenzionati ad attaccare cittadini israeliani.
La mostruosità di questa barriera non risiede principalmente nella psicotica idea di trovare rifugio al riparo di un muro, quanto nell’arroganza di costruirlo all’interno dei territori palestinesi, non solo per impedire l’ingresso nello stato ebraico, ma anche per ridurre la mobilità dei palestinesi stessi all’interno della Cisgiordania. Per realizzare tale opera si procede alla distruzione indiscriminata di qualsiasi ‘ostacolo’, anche se si tratta di alberi secolari di ulivo che forniscono la principale fonte si sostentamento per moltissime famiglie arabe.
A Budrus si è sperimentata una resistenza passiva contro i militari israeliani attuata, oltre che da militanti di Fatah e di Hamas, anche da giovani, donne e da militanti pacifisti israeliani. Con questa operazione di documentazione cinematografica assistiamo alla cronistoria delle manifestazioni, all’incrementarsi del numero di sostenitori e alla crescita della popolarità di questa forma di lotta anche all’interno del sistema mediatico israeliano che, attraverso i telegiornali, testimonia dell’imbarazzo e dell’impotenza dell’apparato repressivo militare davanti a questa nuova tattica.
La polizia di frontiera israeliana, che conduceva le operazioni di smantellamento e sgombero, ha provato a rompere lo stallo attuando un atto di forza che puntava a riportare la lotta su posizioni ad essa più favorevoli. Nonostante il tentativo di alzare il livello dello scontro, la popolazione di Budrus è riuscita a non lasciarsi trasportare su un terreno su cui sarebbe stata perdente. Dopo molti mesi di lotta gli abitanti palestinesi sono riusciti a riportare alcuni successi parziali e a diventare un esempio per altri concittadini.
Budrus utilizza non solo i filmati delle manifestazioni, ma anche interviste realizzate sia ai resistenti che ai poliziotti, in particolare ad una poliziotta di nome Yasmine, con la quale le donne palestinesi avevano cercato di instaurare un dialogo, connotando con la propria specificità femminile questa lotta che per la prima volta gli permetteva di essere protagoniste.
Il film si avvale delle riprese di diversi operatori, alcuni dei quali israeliani al seguito della polizia, e questo ci permette di avere la doppia visuale sugli stessi eventi. E non è più solo una questione di campo e controcampo ma di tesi e di antitesi in una sfida che è entrata nella sua fase più cruenta da oltre mezzo secolo. Anche se questa volta i palestinesi hanno cambiato la loro strategia di resistenza, la sintesi del conflitto resta sempre la stessa: il riconoscimento dello stato di Palestina.
Pasquale D’Aiello