Guerre chimiche, attentati, terroristi resi invincibili da droghe combinate con estenuanti digiuni, proterve castità e corvè liturgiche in attesa del paradiso delle Urì, ma anche più domestici zainetti abbandonati, metro a rischio, allarmi bomba in Duomo e sulla linea A di Roma, pacchi sospetti a Fiumicino, telefonate al 112, psicosi in corsia al San Giovanni, presto forse giubbotti invernali con imbottitura antiproiettile già in vendita a Parigi.
Il Terrore corre sul web, sulla carta stampata, di bocca in bocca proprio come una volta nel gioco del telefono senza fili, dando vigore a leggende metropolitane, a stati ansiogeni, a paura e sospetto.
Perfino il premier, cui forse piacerebbe invece mascherarsi in mimetica come avrebbe desiderato fare da boy scout, lanciarsi in proclami e perfino in salvataggi arditi per recuperare consensi, proprio come sulle copertine della Domenica del Corriere o nei cinegiornali Luce, mostra di aver contrappostogli la via della ragionevolezza e della compostezza, esaltando le forme e i possibili successi di una lotta alla Jiad tramite banda larga, ha replicato a una telefonata “bufala” che girava in rete con un messaggio su Whatsapp. «Qualcuno pensa di essere simpatico, ma non si rende conto che suscita un clima di paura e anche di panico. Vorrei invitare tutti a non cascarci, terrorismo è una minaccia molto seria ma isteria non domini nostre vite».
E di bufale in rete lui se ne intende, basti pensare ai lucidi della manovra, agli slogan sulla Buona Scuola, alle assunzioni tramite Jobs Act, alla più feroce e virale, quella che annuncia la ripresa, che poi invece a frenare reazioni estreme dovrebbe pensarci prima di tutto lui, dominando le intemperanze belliche della marescialla in tailleur e reprimendo i propositi guerreschi e le nuove crociate degli alleati della sua variabile maggioranza.
Ma non possiamo pretendere troppo da un presidente del consiglio intento a attuare un disegno autoritario, che passa anche attraverso la sostituzione dei sindaci con prefetti, tentativo già praticato quando era podestà di Firenze, che non si è peritato di tagliare le risorse della sicurezza, preferendo che l’ordine pubblico sia affidato a una polizia impoverita e ricattata, mal mostosa a frustrata tanto da aver voglia di menare le mani coi figli di papà e anche coi papà stessi, preferibilmente lavoratori o disubbidenti, o, meglio ancora, che le città siano militarizzate, e non solo le inquietanti periferie, ma i minacciati quartieri alti, i palazzi, gli stadi, i musei secondo quella trucida topografia di luoghi sensibili cui i Tomton di morte ci vorrebbero abituare. E che vorrebbe invece dinamica, efficiente, preparata, informatizzata, trasformando categorie malpagate, umiliate di ultracinquantenni con le divise lise, senza soldi per la benzina, i giubbotti antiproiettili “scaduti”, in manager dell’ordine pubblico, in prodigiosi spioni tecnologici, in talpe e infiltrati con dono dell’ubiquità, visto che al tempo stesso dovrebbero fare la guardia a migliaia di siti sensibili, tra musei e pizzerie, locali fusion e sinagoghe.
Ma d’altra parte non spetta a lui fare il lavoro sporco di suscitare allarme per autorizzare riduzioni di libertà e diritti, di alimentare la paura per limitare la privacy, di nutrire la diffidenza per fare del rifiuto una legittima difesa. Ci pensano i media, le televisioni in particolare che invece di parlare come dovrebbero per immagini,sfamano un immaginario impigrito da un’iperalimentazione di notizie,con ricostruzioni epiche quanto tarocche, mandano in onda le sceneggiature della sfiducia, con finti pacchi sospetti dei quali nessuno si accorge, ci propinano le leggende epiche e eroiche sui guerrieri di Allah, titolano servizi e trasmissioni con slogan orrorifici, secondo i criteri della disastrologia e del catastrofismo. E al tempo stesso ritengono di incoraggiarci con la presenza poco rassicurante di generali che hanno perso tutte le guerre comprese quelle con le scrivanie e l’italiano, opinionisti che da anni non capiscono niente di quello che accade oltre il loro desk, giornalisti che fanno storiografia con l’aiuto di Wikipedia, funzionari dei servizi poco segreti se stanno sempre sul video, che si sentono degli 007, purché sia uno degli ultimi, quelli un po’ adiposi, con qualche malanno e il fiatone.
E tutti a dire che Salvini esagera, ma viene sempre invitato a declamare i suoi slogan, che Belpietro va condannato, salvo chiedere scusa a Oriana, e tra un po’ anche a Bush, rei di aver risparmiato qualche filo d’erba e qualche civile, come se si trattasse di peccatucci, di intemperanze giovanili, inquadrabili nella sacrosanta e santa difesa della nostra civiltà e pure della tradizione cristiana, e non fossero il miserabile preambolo a Sallusti sindaco, la conferma di corrotti e criminali sulle poltrone delle aziende che direttamente o indirettamente favoriscono i signori della guerra, il marchio di qualità di politiche di emarginazione e rifiuto che si concretizzano con la richiesta pressante agli immigrati di guadagnarsi di nostra fiducia, per aspirare a essere sfruttati, perseguiti, infine ricacciati a casa loro via ruspa o rimpatrio.
A condire questo disegno con un po’ di letteratura eroica, con qualche mito pittoresco e epico, ci pensano con il proliferare di fantasiose ricostruzioni, con riletture istantanee della cronaca o con interpretazioni “storiche” manomesse, con quelle panzane che a forze di essere ripetute diventano patrimonio comune che si gonfia, si gonfia fino a scoppiare, schizzando in giro veleni e angoscia.
Non è mica un fenomeno nuovo, per carità. Ci sono testate prestigiose che da anni periodicamente stilano le top ten delle fandonie più accreditate e “digerite” dalla pancia della gente: i treni in orario di Mussolini, le brioche di Maria Antonietta, il Mossad che telefona a tutti gli ebrei che lavorano nelle Due Torri, per avvertirli di non andare in ufficio il giorno dopo, e così via. E anche illustri storici si sono cimentati per smascherare bufale antiche e per spiegare l’inclinazione collettiva a crederci: dalle possessioni alla stregoneria, da Dracula e i vampiri Transilvania, ai misfatti da Barbablù di Gilles de Rais, pedofilo, assassino e serial killer ante litteram, per non dire degli ebrei e dei comunisti che mangiano bambini.
Anzi, vien buona proprio oggi l’analisi di March Bloch sulle false notizie della guerra, su chi provvede, una volta scaturite magari dalla fantasia malata di un mitomane e manomesse dalla tradizione orale, a propalarle e farle lievitare, perché, scrive, “alcuni falsi racconti hanno fatto sollevare le folle”. E perché “l’errore non si propaga, non si amplia, non vive che a una condizione: trovare nella società in cui si diffonde un terreno di coltura favorevole”, nel quale più o meno consapevolmente gli uomini esprimono i loro pregiudizi, i loro odi, i loro timori, tutte le loro emozioni forti. Grandi stati d’animo collettivi esercitano così il potere di trasformare in una leggenda una percezione distorta, producendo profondi fremiti sociali e convertendo aberrazioni, preconcetti infami, pensieri criminali in giuste e legittime campagne a difesa di valori identitari, beni magari usurpati, diritti dei quali sono stati espropriati da qualcun altro.
Una volta dicevano “l’ho letto sul giornale”, poi “l’ho visto in televisione”, ora “l’ho incollato su Facebook. Bisognerebbe rifarsi a Spinoza:”né ridere, né piangere, ma capire” e cominciare a vedere oltre il guardare.