Bufera di vento

Da Fra

quello che la mamma appende in cucina

Guidavo domenica sera nel varesotto in una bufera di vento che strapazzava le foglie e le faceva girare vorticose. Era sera, percorrevo la strada buia che ho percorso mille volte, verso quell'ora, quando guidavo la stessa Ka grigio metallizzata piena di eccitazione felice, la felicità di sapere cosa ci sarà in prima pagina domani, di sapere che a una certa pagina ci sarà il mio nome.
Guidavo e la malinconia mi stringeva lo stomaco, mentre non riuscivo a fermare le immagini a ritroso, ed eccomi sedicenne a studiare di fianco al camino col maglione blu, il pomeriggio, eccomi quindicenne con la divisa degli scout, ecco una macchinata di ventenni al ritorno dalla discoteca, dove con una manovra degna di schumacher l'amico che guidava scansò uno stronzo contromano all'ultimo secondo, evitando un disastro a cinque persone. 
E il muro col nostro graffito, vicino al liceo. E varie cose di cuore.
Mi chiedevo se mai questo atroce dolceamaro cambierà. Se riuscirò mai a guidare per quelle strade senza che un film impazzito di ricordi e di vuoti e di vite non vissute mi colpisca in faccia come una sberla, lasciandomi stordita. Mi chiedevo quanto questo sia correlato alla soddisfazione personale che uno vive in un certo momento, per cui se sei veramente felice adesso allora la nostalgia di te stesso passa.
Ci si è messo pure Louis Armstrong alla radio e volevo girare, giuro che volevo girare perché sapevo che sarebbe stato troppo, e che mondo meraviglioso e le foglie che vorticavano e io che tornavo da una cena bellissima con la mia migliore amica che finalmente mi ha guardata e mi ha detto "sei tornata". 
A volte il rubinetto oculare merita proprio di essere aperto, e questa era una di quelle.