Fa piacere sapere che nel proprio piccolo si è contribuito a rimpinguare le casse del debito pubblico che hanno visto un aumento nei primi sette mesi del 2015 pari a 224,9 miliardi, rispetto -nientepopodimeno – ai 224 dello stesso periodo dell’anno precedente, come annunciato con gran pompa da Bankitalia. Eh si, vista l’entità del formidabile incremento, è improbabile che sia da attribuire al poderoso e tenace contrasto all’evasione, azione rimossa prudentemente dall’agenda del governo. Forse è più plausibile che si debba a qualche inspiegabile balzello, qualche indecifrabile sanzione comminata a noi mortali, quel formidabile successo, la cui epifania è stata offerta ai cittadini insieme al festoso calo, registrato a luglio, del debito pubblico, presentato come se le oscillazioni mensili significassero qualcosa – lo ha dovuto ammettere lo stesso Padoan “sappiamo già che il valore assoluto del debito crescerà fino al 2019”. E come è ovvio che sia in un paese senza investimenti, senza occupazione, senza ripresa, senza speranza.
Ma la comunicazione del governo è prodiga di buone notizie, quando non le ha le costruisce ad arte oppure fa proprie quelle altrui, come dimostrato dal successo tennistico di Renzi precipitatosi, ma ha ricordato “lo fece Pertini”, a fregiarsi delle medaglie d’oro conquistate da due sportive fortunatamente più competenti dei suoi ministri nel palleggio, nei diritti e nei rovesci, se non nel tirar colpi.
Nemmeno commento la gita di stato da 150 mila euro, i voli coi soldi pubblici anche per andare in ferie, l’aereo più sontuoso di quello di Hollande, gli elicotteri alla porta: tutti le generazioni dei nostri notabili si sono concesse capricci a spese nostre e perché aspettarsi qualcosa di diverso dal rottamatore di auto blu, che aveva promesso anche di venderle usate in modo da impersonare lo slogan elettorale più vecchio a abusato degli ultimi 150 anni: la comprereste una vettura di seconda mano da quest’uomo?
Nemmeno mi stupisco delle ingenue e stolide americanate che hanno accolto la presenza del bellimbusto, tronfio del trionfo altrui, condite di “lunghi applausi, quasi un’ovazione”, tra selfie, sorrisi, strette di mano, palline da tennis autografate.
E nemmeno mi dilungo sulla nostra stampa talmente vergognosa da dare osceno risalto alle ridicole comparsate, alle passerelle da gran varietà dei guitti di quart’ordine che pensano di rianimare la vita politica morta con spettacolini che farebbero imbarazzare perfino l’ex leader di piano bar.
È la manipolazione, l’impiego della menzogna, le pagnotte gettate in pasto insieme ai circenses che ci devono umiliare, che ci devono ferire per la dabbenaggine di chi continua a sopportare l’affronto quotidiano di un golpe compiuto da cialtroni, con la cancellazione di diritti, della partecipazione, del lavoro, dell’istruzione, dell’assistenza, insomma della democrazia, con il valore aggiunto mortificante dei lor sberleffi, dei loro tweet, della loro sfrontatezza, a dimostrazione di una invereconda rivendicazione di impunità, una volta sbrigata l’ultima remora, quella della punizione elettorale che leggi illegali e illegittime hanno sospeso.
Molti anni fa, nel 1988, un pensatore francese, Revel, poco apprezzato dall’intellighenzia gauchiste per essere approdato a posizioni liberiste, scrisse un volumetto profetico, così amaro e così illuminante da avere poco seguito allora ed essere finito nel vorace dimenticatoio della modernità. Si intitolava la Conoscenza inutile e parlava di quelle informazioni, di quegli eventi, di quel “sapere” reso noto e divulgato, che però non arriva all’opinione pubblica, che non incide in alcune modo nel produrre scelte e nell’orientare umori e convinzioni, che scorre come un fiume sotterraneo incapace di affiorare, seppur scritto e diffuso. Per via probabilmente della tecnica di esclusione dei media ufficiali, dell’incessante colonna sonora della comunicazione che ci anestetizza e confonde come certe musichette ambient nei centri commerciali. Ma soprattutto per la indisponibilità a ascoltare, apprendere, conoscere e decidere di conseguenza, che è la vera malattia italiana, come se troppi se non tutti preferissero andare al patibolo bendati, in rovina senza estratto conto, in sala operatoria senza radiografia.
Eppure tutti dovrebbero aver appreso e “digerito” a otto anni di distanza dall’inizio dell’emergenza economica in USA e in Europa, che è una grande menzogna quella che l’attribuisce alla crisi del debito pubblico mentre si tratta dell’esplosione o implosione del sistema finanziario privato e delle sue bolle, dei suoi fondi e derivati, della sua roulette impazzita. Tutti dovrebbero aver capito e assorbito che siamo nelle mani di un ceto di incompetenti asserviti agli attori più regressivi della Troika, incapaci di trattare perfino sull’immigrazione e sui disastri “naturali, che si beve le fole dell’imperialismo finanziario sulle cause della crisi e accetta a capo chino le soluzioni più improvvide e autolesioniste, dando i numeri del lotto per ingannare il popolo bue proprio come quelli delle tre carte, certi di vincere sempre perché imbrogliano.
Eccome se imbrogliano. Sempre per citare Revel – l’incipit del suo volumetto recitava “La prima tra tutte le forze che dirigono il mondo è la bugia“ – i potenti sono abituati a concedersi tre “dispense” una intellettuale, una pratica e una morale. La prima, quella intellettuale permette loro di negare o nascondere i fatti scomodi, celandoli, rimuovendoli o inventandone altri più “utili” e funzionali. La seconda, quella pratica, sopprime il criterio dell’efficacia e sconfessa e disconosce che insuccessi e fallimenti abbiano valore di confutazione: il Job Act è una patacca, non ha prodotto occupazione né qualificata né garantita, ma è una conquista e un trionfo del governo. La terza, ah la terza è la più straordinaria, con una portata e una qualità divina, perché abolisce la nozione di bene e male cosicché il capo, il principe, il leader a stabilire quello che si deve e non si deve fare, ciò che è buono e cioò che è cattivo per sé ma anche per noi.
A questi che agiscono come una gerarchia ecclesiastica della religione del profitto, dello sfruttamento, della menzogna, della corruzione economica e morale dobbiamo rispondere con la scomunica e con la conoscenza utile, quel sapere che dobbiamo selezionare nel mare inquinato della troppa comunicazione e usare per riprenderci scelte e responsabilità dietro le righe della stampa ufficiale, oltre i cinguettii governativi, sullo sfondo delle foto di gruppo dei potenti.