BuioDoc (N°13): Al Cinema, recensione "The Gatekeepers - I Guardiani di Israele"

Creato il 08 aprile 2015 da Giuseppe Armellini

Ogni tanto ai Multisala riescono ad arrivare iniziative lodevoli...
Come quella della Unipol Biografilm Collection, una rassegna di bellissimi documentari proiettati il martedì sera in molte sale Uci Cinemas. Non è la classica rassegna d'essai senza capo nè coda ma qualcosa che ha un progetto dietro, una sua coerenza (oltre la qualità ovviamente). Hanno proiettato roba come The Square, Sugar Man, The Look of Silence per capirsi.
Mancano due soli martedì, speriamo possa essere riproposta di nuovo anche perchè il genere del documentario sta sfornando opere di livello altissimo.
La Shin Bet è l'Intelligence israeliana preposta, tra le altre cose, a controllare e difendere il territorio nazionale, specie, ovviamente, dalla minaccia del terrorismo.
Insomma, un'organizzazione molto simile al Mossad anche se quest'ultimo lavora meno nel territorio nazionale e più all'estero.
Inutile dire che le generalità di chi lavora dentro lo Shin Bet siano top secret.
Per la prima volta, e accade in questo documentario, i capi dello Shin Bet che si sono succeduti negli ultimi 30 anni hanno deciso di parlare.
E raccontare.
E, soprattutto, dire la loro in maniera più personale e meno "istituzionale".
The Gatekeepers è un documentario importantissimo, forse il doc definitivo sulla questione israelo-palestinese. Senz'altro non definitivo nei contenuti, ci mancherebbe, e non solo per il fatto che sull'argomento di documentari se ne potrebbero produrre centinaia, ma soprattutto perchè manca di un elemento importantissimo, la controparte palestinese, visto che a raccontare i fatti sono soltanto questi 6 capi dell'intelligence israeliana.
E' inevitabile quindi, specie per chi conosce bene la vicenda e magari in qualche modo ne è pure coinvolto, intravedere in alcuni passaggi una tremenda ipocrisia nelle parole di questi "militari" israeliani.
E anche, una loro mistificazione dei fatti magari.
Ma reputo questo documentario come definitivo perchè è lo stesso Israele, e con 6 degli uomini più importanti politicamente e militarmente che ha avuto, ad ammettere quanto questa guerra sia insensata. Non c'è odio verso la Palestina, mai, e non c'è esaltazione, tranne in rarissimi casi, del "lavoro" che queste persone hanno fatto.
C'è pentimento, ci sono profondissime riflessioni, c'è il coraggio di riconoscere i propri errori (e per un capo dell'Intelligence è una cosa difficilissima da ammettere), c'è la sensazione di trovarsi davanti a delle persone che, una volta uscite da quella posizione di comando, si sono rese conto della tragedia politica, culturale ed umana che la questione palestinese da decenni sta portando avanti.
Attenzione, non che questo atteggiamento li assolvi in nessun modo, che questa è una guerra dove individuare i buoni e i cattivi è sin troppo facile, ma non sarebbe giusto nemmeno ascoltarli con troppo pregiudizio perchè davvero, se una piccola speranza può esserci in futuro può partite anche da qui.
Il documentario attraverso le operazioni dello Shin Bet ripercorre questi ultimi 50 anni di storia del conflitto.
Dai primi controlli e censimenti dei territori occupati (con la richiesta fatta in lingua araba dagli israeliani che per un errore di accento passava dall'essere "dobbiamo contarvi" a "dobbiamo castrarvi") alla prima Intifada, dalla nascita del terrorismo al primo autobus dirottato, dagli accordi storici di Oslo tra Arafat e Rabin alla nascita nella stessa Israele di un movimento di opposizione a tale accordo che portò poi all'omicidio di Rabin, da Hamas all'arrivo di un nuovo tipo, terribile, di terrorismo, quello delle esplosioni kamikaze, dalla lotta contro l'OLP a quella contro la Jihad, dall'attentato sventato alla Cupola (organizzato dagli stessi israeliani "sangue del nostro sangue") alle bombe sganciate a Gaza per eliminare i più importanti terroristi arabi (con "danni collaterali" come morte di donne e bambini innocenti).
C'è quasi tutto dentro quello che è successo questi ultimi 45 anni, senza soluzione di continuità.
Le interviste ai 6 capi si intervallano alle immagini di repertorio, specie a delle foto dove, a volte in modo davvero straordinario, la macchina da presa sembra "muoversi" dentro, come in quelle del primo dirottamento dell'autobus.
Ma, fatti a parte, le sensazioni predominanti sono due.
La prima, tangibile, è che in tutte queste faccende l'uomo scompaia. Sono (siamo) tutti marionette manovrati da ideali, religioni o politiche. Non c'è un solo fatto, una sola azione che non sia frutto di qualcosa di più grande che le sta dietro. Ogni attacco terroristico, ogni azione intrapresa dallo Shin Bet, ogni rivendicazione, ogni manifestazione, ogni singolo gesto, anche piccolissimo come un interrogatorio, tutto dà la sensazione che ognuno è pedina di qualcun altro che a sua volta è pedina della pedina.
Forse soltanto nelle parole di Rabin ho intravisto qualcosa di "personale", di vero, di semplicemente umano e di non ideologicamente collettivo.
La seconda sensazione, come scrivevo all'inizio, è quella che se al posto dei macrocosmi politici e religiosi la vicenda fosse affidata alle singole menti umane ci sarebbe speranza.
I 6 capi, chi più chi meno, non solo non mostrano odio verso la Palestina ma, in alcuni casi, sembrano "addirittura" difenderla, riconoscerne diritti e grandezza morale.
E sono uomini che ammettono tutti i propri errori, dalla mancanza di moralità di molti loro gesti ad alcuni errori prettamente di Intelligence, come la non previsione della prima Intifada o la mancata difesa a Rabin. Ma anche l'inutilità delle loro bombe, con quei morti innocenti che si potevano quasi sempre evitare e  lo strazio di dover portare via uomini dalle loro famiglie, la mancanza di senso del tutto.
E, attenzione, se alcune interviste vi sembrassero solo ipocrite scuse (e in tutto il calderone certo ce ne saranno), ricordiamo che per un capo militare, specie di uno stato così "orgoglioso" come Israele, parlare male del proprio operato o, ancor peggio, degli ideali che a quell'operato hanno portato, è davvero importante come cosa.
Io lo vedo come un documentario di speranza.
Perchè come dice il capo dello Shin Bet dal 1996 al 2000 Ami Ayalon, persona dall'intelligenza sopraffina, tutto quello che sta accadendo non ha alcun senso.
"Noi israeliani vinciamo tute le battaglie ma perdiamo la guerra".
Ogni piccola vittoria sta portando a una sconfitta più grande.

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