BuioDoc (N°8): recensione "The Look of Silence"

Creato il 18 settembre 2014 da Giuseppe Armellini
Il corpo di un vecchio così vecchio che pare un bambino viene lavato con cura.
E' piccolo, scheletrico, ha le braccia che paiono lunghe da quanto son magre.
E' cieco, ha quasi, o forse pure più, di 100 anni.
E' indonesiano.
E nel 1965 suo figlio fu uno del milione di persone trucidate dall'esercito perchè "comunista".
Due anni dopo l'eccidio nacque Adi, il fratello, anche se postumo, del ragazzo ucciso.
Adi fa l'ottico ma anche un ottico è solo un ottico, n0n Gesù Cristo, quindi se il padre è cieco cieco resterà.
Ma Adi vuol sapere la verità sul 1965. E allora la verità la va a chiedere direttamente agli assassini.
Meravigliosa "parte due" di quel a sua volta meraviglioso documentario che fu The Act of Killing del regista americano Joshua Oppenheimer.
Con molta fretta e semplificazione si è parlato di questo secondo "capitolo" come la voce alle vittime del massacro rispetto al primo in cui si diede voce ai carnefici.
Ecco, non è proprio così.
L'istanza è senz'altro quella, perchè in The Act of Killing il regista fu completamente travolto dagli eventi. Gli assassini non solo non si schernirono ma vollero diventare i protagonisti del film, raccontando, recitando e glorificando tutto quello che avevano fatto. In realtà il regista voleva girare un documentario classico ma si ritrovò queste due star che lo fecero diventare qualcosa di assurdo, surreale. E non ci fu quindi nè modo nè spazio per dar voce alle vittime.
Che poi si sa, a parlare sono sempre le vittime, mai i carnefici. Credo che in letteratura, nel cinema, ma pure nella vita vera (penso ai sopravvissuti dell'Olocausto) film, libri e parole siano sempre quelle delle vittime, mai che gli assassini abbiano il coraggio di farlo. Ci sarà un rapporto 10 a 1. A questo proposito consiglio l'incredibile romanzo Le Benevole di Jonathan Littel. E' il "male" che parla. E solo sentendo il male si possono capire tante cose in più. Ad esempio che in certi contesti e in certi periodi storici mostri si poteva diventare tutti, anche noi stessi. E questo dà fastidio raccontarcelo ma è così.
Comunque sì, in The Look of Silence Oppenheimer può finalmente dar voce alle vittime e per farlo prende un solo caso, quello di un ragazzo ucciso in un modo inumano, se possibile peggio ancora degli altri.
Va dalla famiglia di quest'ultimo (il vecchio bambino di cui sopra, sua moglie, una vecchia dall'intelligenza e forza sovrumana e il nuovo figlio di loro, Adi) ed insieme ad Adi va a "intervistare" molti degli assassini.
Ecco perchè parlavo di semplificazione ed errore nel considerare The Look of Silence solo come voce delle vittime.
In realtà forse ancora di più che nell'Atto dell'uccidere la voce degli assassini è ancora più forte, perchè messa a confronto, sbattuta in faccia alle vittime (di cui Adi è il simbolo).
Dirò di più, anche qua ci sono delle ricostruzioni da parte dei carnefici delle loro barbarie, e se possibile sono persino più forti, perchè non costruite teatralmente, niente trucco, teatro di prosa e battute.
Vanno nel luogo del massacro e raccontano.
Ed Adi vede tutti questi video.
E' come se Adi vedesse le parti tagliate (o che Oppenheimer non ci aveva mostrato) di The Act of Killing.
O.k, non c'è lo straniamento di allora, là la situazione si fece così assurda e surreale che lo spettatore, se possibile, ne restava ancora più disgustato. Quello è e resterà un doc unico, anche se "avvenuto" praticamente per caso.
Qua invece tutto si fa leggermente più classico, c'è un minimo di costruzione (ma proprio un minimo), un minimo di scelte.
Ma per il resto il livello è lo stesso, anzi.
A livello puramente cinematografico siamo 3,4 gradini sopra.
C'è un gusto e una scelta delle inquadrature pazzesco con una profondità di campo che a volte raggiunge le centinaia di metri.
Nessuna spettacolarizzazione, nessuna presa di posizione, nessuna voce del regista, nulla, ma anche a livello visivo sto doc è davvero potentissimo, specie nelle piccole cose, che siano due mani che tagliano un peperone, un ponte, un fiume, dei bozzoli di farfalla che saltano in un pavimento.
Adi guarda tutti i video, Adi vuole sapere la verità, ad Adi non sta bene che anche a scuola si continui a dire che il massacro fu giusto perchè i comunisti erano crudeli e senza Dio. Sì perchè gli autori del massacro sono ancora vivi e vegeti, e comandano la nazione. Il clima è praticamente lo stesso di allora e la paura c'è, e tanta.
Ma Adi vuole semplicemente che gli assassini lo guardino in faccia e dicano ciò che vogliono.
Ed è qui uno dei punti di forza di questo straordinario doc.
Nelle varie interviste succede di tutto.
A volte gli assassini sembrano pentirsi, a volte sembrano ancora glorificare le loro azioni, a volte si vantano di tutto quello che hanno fatto e altre dicono che loro alla fine non hanno responsabilità. Ma questo bianco e nero accade nelle STESSE persone, da una domanda all'altra, specie se e e quando Adi dice loro di essere il fratello di una vittima.
Ma la magia di cui parlavo è nei silenzi. Ogni intervista ha lunghe fasi di silenzio, specie nei finali. Adi guarda in faccia i mostri, loro non sanno più che dire. Silenzi dalla forza impressionante, ti mandano in apnea. Del resto è questo il Silence del titolo.
In almeno due interviste poi accade una cosa davvero strana, la sensazione terribile che nulla sia cambiato, le minacce, quasi esplicite, che nel caso Adi continui a far domande quel massacro potrebbe succedere di nuovo. L'aria si taglia col coltello, questo non è cinema, questa è vita vera, tensione vera.
Personalmente questa seconda parte mi ha fatto più male della prima, di The Act of Killing.
Se là ero al contempo disgustato ma quasi affascinato da quelle due "star" qui non c'è fascino, non c'è filtro.
Sentire dei massacri, sentire quelle belve come squarciavano gole e bevevano il sangue delle vittime per non impazzire, sentire quello che hanno fatto a Ramli (il fratello di Adi), vederli ancora adesso comandare il paese e minacciare di nuovo beh, mi ha fatto star male, e parecchio.
Bellissimo anche se terribile vedere Adi compiere lo stesso percorso che porta al fiume, quel tragitto che abbiamo sentito raccontare o abbiamo visto tre volte, una nel 1965, poi più di 40 anni dopo dai carnefici del video (con tanto di selfie finale) ed ora da Adi.
Quel fiume ha visto inghiottire centinaia di persone, tutte orrendamente uccise prima.
Adi fa l'ottico, mette dei simpatici occhiali alla gente (quelli della locandina) dove provare lenti di varie gradazioni. E vederlo che chiede e si sente raccontare di quei massacri mentre sta compiendo il suo lavoro è stranissimo.
E' come se quel gesto fosse simbolico, ecco guarda, ti aiuto a vedere, la tua vista è offuscata, ecco guarda, cosa vedi? cosa avete fatto a mio fratello e agli altri?
E questi vecchietti che furono boia paiono quasi ridicolizzati da quegli occhiali, resi macchietta, e in qualche modo diventano "clienti" di Adi.
Si arriva al finale con fatica.
E forse più del finale scelto dal regista io scelgo e faccio mio quell'abbraccio di Adi al boia che gli racconta di come beveva il sangue dei suoi "fratelli".
La figlia del boia che non riesce a trattenere le lacrime, Adi che si alza, abbraccia prima lei e poi lui, incredibile, pelle d'oca come raramente l'ho avuta in sala.
Ma forse no, forse il finale migliore è proprio quello che c'è.
Ma non il finale, dopo il finale.
Sono quei titoli di coda, sono quel nero silenzio rotto da una nenia di un vecchio, sono le 15 persone in sala intorno a me che non si alzano, sono gli "anonimi" che invadono il cast e la troupe, sono la sensazione di aver visto qualcosa di terribile, qualcosa che quegli "anonimi" che scorrono sullo schermo ti dicono che no, ancora non è finita.
( voto 9 )

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