Anno: 2012
Nazionalità: USA
Durata: 97′
Genere: Azione/Thriller
Produzione: Automatik Entertainment, EMJAG Productions, Millar Gough Ink
Regia: Walter Hill
Sono passati ben 41 anni dall’esordio sul grande schermo di Sylvester Stallone: soltanto una comparsa (neanche accreditata), nel film di Woody Allen “Il dittatore dello stato libero di Bananas”, per l’allora sconosciuto attore italo-americano che sognava il grande cinema. E, come ci ha insegnato e poi dimostrato negli anni il buon Sly, ci vuole pazienza, determinazione e passione per far sì che i sogni si avverino. Oggi, infatti, il protagonista assoluto del tanto atteso ritorno alla regia di Walter Hill, è proprio lui. Il suo personaggio in Bullet to the head, Jimmy Bobo, incarna perfettamente le caratteristiche dell’attore: un uomo di poche parole, ma autoironico, con saldi principi e una presenza scenica che incute timore e rispetto. Jimmy è un sicario che conduce una vita solitaria e considera il suo impiego come killer un lavoro serio che esegue con disciplina e metodicità, seguendo un rigoroso codice d’onore (“…niente donne, niente bambini. Mai fidarsi di nessuno. Funziona così se vuoi rimanere nel gioco. E qui si fa a modo mio.”). Qualcosa, però, scardina l’ordine della normale routine: il suo socio Louis (Jon Seda) viene assassinato. E per scoprire chi sono i mandanti dell’omicidio, unisce le sue forze con un partner inaspettato: il detective Kwon di Washington D.C. . L’obiettivo di quest’ultimo è, ovviamente, risalire ai colpevoli ed arrestarli, mentre Jimmy vuole vendetta e vedere scorrere il sangue di chi ha ucciso il suo compagno. I diversi modus operandi nel dare la caccia ai pericolosi malviventi coinvolti in questo intrigo, gli ancora più diversi stili di vita e personalità, renderebbero i due personaggi due ideali antagonisti. Invece no, viaggiano fianco a fianco riscontrando un’intesa imprevedibile. Divertenti i loro dialoghi, i loro modi di salvarsi la vita a vicenda continuamente, la loro complicità. Il tutto incastonato con maestria da scene d’azione sorprendenti e per nulla scontate. Dalle scene contenenti sparatorie e scazzottate a quelle di autopsie e combattimenti vari, si nota immediatamente che alla regia non c’è un mercenario qualsiasi assoldato da Hollywood, ma un autore di nome Walter Hill. La fantasia e il suo abile tocco innovativo nella costruzione della struttura di genere, sia per quanto riguarda il lato “action” che il “thrilling”, che per i momenti di maggior tensione emotiva, ci fanno riconoscere l’estro inconfondibile e l’esperienza di questo grande regista. Le peculiarità del genere non sopraffanno la narrazione e fanno tornare alla mente alcune sequenze mitiche dei suoi film, in particolare i western: I guerrieri della palude silenziosa, ad esempio (indimenticabile la carneficina, a dir poco geniale, con sottofondo rurale e montaggio di scene di squartamento e scuoiamento di animali alternato ai frenetici balli durante una festa in uno sperduto villaggio cajun). La gestione dello spazio/tempo è sicuramente un marchio originale di Hill, anche dove, come ricordiamo nella scena conclusiva in metropolitana de I guerrieri della notte, è il silenzio a scandire il tempo dell’organismo filmico. Una certa malinconia blues che si individua spesso nel suo cinema (storica la sua collaborazione con il bluesman Ry Cooder), è evidente nella preferenza dell’accompagnamento musicale in questione, ma che in Bullet to the head diventa più hard-rock, quasi crossover, abbinato al ritmo del montaggio più moderno e forsennato.
La sceneggiatura dello scrittore italiano Alessandro Camon (nominato all’Oscar per Oltre le regole – The messenger) che, a sua volta, si è ispirato alla graphic novel Du Plomb Dans La Tête di Matz, sembra essere stata messa dai produttori nelle mani di Stallone, tanto si adatta magicamente al modo di scrivere di Sly che tutti amiamo e conosciamo: un mix tra l’ingenuo umorismo di Rocky e il distruttivo sentimento di rivalsa di Rambo.
É inoltre da constatare, entrando nel vivo del tema recitazione (spinoso quando la critica si insinua nel merito riferendosi a Sylvester Stallone) che egli si muove a favore della telecamera, nonostante i suoi 66 anni, con una sicurezza e disinvoltura incredibile. La sua fisicità e la mimica sono collegate in maniera costante alla psiche del personaggio, come se lo tenesse stretto a sé con tutta la forza possibile. Stallone riesce a mantenere, per tutta la durata del film, un’energia costante, vigore, vitalità, soprattutto nelle scene che richiedevano una preparazione atletica e tecnica di indubbia difficoltà. Il rapporto con gli altri attori presenti nel cast è generoso: è basato sulla tranquillità della sua recitazione, trasmettendo in questo modo, un senso di fiducia ed equilibrio attoriale che ha donato maggior spessore e esaltato ogni singola performance. Una su tutte, quella della sua spalla Kwon (il giovane coreano Sung Kang ) e del corpulento cattivo di turno Keegan (il Khal Drogo di Game of Thrones). “Revenge never gets old”, recita il sottotitolo del film. Ci voleva una grande star come Stallone a ricordarcelo e confermarcelo, diretto da Walter Hill, che ci delizia di un’ora e mezza di cinema “old school”. E ci fa interrogare su cosa, di questi tempi, è da considerare “vecchio” e cosa “nuovo”.
Giovanna Ferrigno