Quanto ad assistenza sanitaria per l’infanzia e non solo, in Uganda, a Bumwalukani, nel distretto di Bududua, a 200 chilometri dalla capitale, Kampala,siamo venuti a conoscenza che, ai servizi sanitari gratuiti offerti dallo Stato, si preferisce da parte della gente della cittadina ,e anche delle altre località prossime, magari fare un po’ di strada, a piedi o con mezzi di fortuna, pur di per poter essere poi assistiti nella clinica “Beatrice Tierney”, istituita dalla “Fondazione Medica Internazionale per l’Infanzia”, anche se dietro pagamento di una piccola somma di denaro.
Sarebbe a dire, in moneta locale, l’equivalente di un dollaro, che per la popolazione del posto significa, comunque,visti i magri salari e le paghe, sempre abbastanza.
In genere, se si tratta di bambini, l’assistenza però viene data gratuitamente.
Nella clinica di Bumwalukani, nata inizialmente come scuola per il personale infermieristico, presta la propria opera in genere un medico volontario ,coadiuvato nel suo lavoro appunto da alcune infermiere.
Perché ne parliamo?
Intanto per evidenziare che, nonostante la buona volontà dei governanti, in Uganda come anche in altri Paesi africani, i servizi pubblici offerti non sempre sono all’altezza delle aspettative di chi ne deve usufruire e, specie quando si tratta di salute, la cosa diviene molto delicata tanto che qualcuno arriva a rischiare addirittura di lasciarci la pelle. E non è caso raro.
Infatti, nell’ospedale pubblico di Bumwalukani , quello statale, a chi capita di andare, quando proprio tutto si può dire che vada bene, si viene affidati al massimo alle cure di un’ostetrica volenterosa e/o a due o tre dei suoi assistenti, sulla cui qualifica professionale forse è preferibile chiudere tutti e due gli occhi.
Un altro motivo di sottolineatura del servizio reso dalla “Beatrice Tierney” in Uganda è che le fondazioni, anche se si tratta dell’esecrato “privato” ,e non di pubblico, se ben gestite, servono.
Sono quasi, io direi, in situazione, una manna dal cielo.
Proprio come nel caso di cui stiamo parlando.
Infatti l’affluenza giornaliera dei pazienti a Bumwalukani è piuttosto elevata.
Si va dalle 100 alle 150 persone minimo, tra donne, bambini ed anziani. E questo è ogni giorno.
File interminabili dunque e un vero lavoraccio stressante, considerando le condizioni climatiche proibitive del luogo.
Lavoro che tuttavia è fatto sempre con il sorriso sulle labbra, la parola giusta al momento giusto e tanta professionalità reale.
Al termine di ogni mese, i responsabili della clinica effettuano inoltre il conteggio delle somme di denaro ricavate dalle visite. Questo denaro, molto o poco che sia, viene impiegato, a sua volta, per l’acquisto di medicinali necessari e/o per poter pagare le spese di un eventuale trasferimento di un malato, se la cosa è indispensabile, in un centro di cure maggiormente attrezzato al fabbisogno urgente del momento.
Ultima annotazione ma, a mio avviso, la più importante in assoluto è la presenza nella clinica di medici volontari a rotazione, spesso giovani, che vanno a spendere un po’ del proprio tempo e della propria professionalità in un Paese, dove le emergenze sono la costante e non certo l’eccezione.
E dove il “the forgotten man”, l’uomo dimenticato, che ha conosciuto nella sua vita quasi sempre solo violenza e corruzione, grazie ad essi, finisce qualche volta per non sentirsi più tale.
Quanto, invece, persona.
Com’è giusto che sia.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)