Bund, BTP e Spread

Creato il 03 maggio 2012 da Riccardomotti @RiccardoMotti1

I Bund e i BTP sono titoli di Stato, emessi dal Ministero dell’Economia, i quali consentono al cittadino di fare un investimento che, di norma, è ritenuto più sicuro di un qualsiasi investimento standard compiuto nel mercato azionario. La prima cosa da notare è che questi strumenti finanziari hanno una durata variabile. I BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) possono avere una durata di 3,5,10,15 e 30 anni, mentre i Bund (Bundesanleihen) valgono 10 o 30 anni. Al momento dell’acquisto si accetta un rendimento annuale, che rimane fisso fino alla scadenza. La remunerazione avviene tramite una cedola semestrale e, al momento della scadenza, con lo scarto di emissione. Cosa significa? Semplificando: se ho acquistato una certa quantità di BTP vengo remunerato ogni 6 mesi, in base al tasso di interesse stabilito al momento dell’acquisto. Poi, al momento della scadenza o della vendita, si calcola la differenza tra il valore che il titolo ha in quel momento rispetto a quello che aveva al momento dell’acquisto. Il motivo per il quale essi siano considerati sicuri è abbastanza intuitivo: la probabilità che uno Stato paghi il dovuto è più alta rispetto alla possibilità che qualsiasi azienda privata faccia lo stesso.

Qui arriviamo al punto. Ci sentiamo ripetere ogni giorno che lo spread è termometro della fiducia degli azionisti, i quali speculano sulla possibilità o meno che questo o quello Stato dell’Unione Europea riesca a pagare i propri investitori. Se la differenza in punti tra il redimento di un BTP 10 anni e quello di un Bund della stessa durata è troppo alto, si dice che gli investitori “non hanno fiducia nell’Italia”. Ma questo è vero fino ad un certo punto, perchè una differenza è il risultato di una operazione che prevede almeno due fattori. Nello specifico, lo spread può essere elevato non solo perchè i BTP emessi dall’Italia rendono molto, ma anche perchè (notizia di ieri) i Bund tedeschi non hanno mai reso così poco. Più che una sfiducia immotivata degli azionisti nei confronti dell’Italia, io vedo piuttosto una fiducia spropositata degli stessi nei confronti della solidità dell’economia tedesca. E’ vero che essa ha resistito meglio delle altre alla crisi che ha investito il mercato finanaziario, ma non dimentichiamo che essa è fondamentalmente basata sull’esportazione. Una contrazione del mercato globale, una diminuzione della ricchezza ed un blocco del consumo non potranno che causare, a medio termine, l’estendersi della crisi alla finanza tedesca. Non lo dico per fare del facile disfattismo, ma per mettere in chiaro come la soluzione non possa prescindere da una comunione di intenti che attraversi trasversalmente tutta l’Unione Europea. Il discorso sullo spread non mi piace perchè è funzionale alla creazione dell’idea che ci sia un’Europa “a due velocità”, paesi buoni e paesi cattivi.

Questa è una favola che in fin dei conti non fa dormire sonni tranquilli, perchè alimenta idee neo-nazionalistiche e anti-europeiste, delle quali Marie Le Pen è emblema. E’ vero che le regole devono essere rispettate ugualmente da tutti i paesi membri, e che ci sono nazioni con economie intrinsecamente più deboli, ma l’Europa ha come compito la composizione di questa frattura, non la sua esasperazione. Se si insiste sulla differenza tra i paesi, se si usa lo spread per costringere governi deboli ad imporre misure inique e draconiane, si ottiene un effetto deleterio e pericoloso per il futuro dell’Unione. Dovremmo incominciare a far capire ai cittadini che se l’economia europea crolla, anche quella tedesca sarà travolta. Se si naufraga, si affonda tutti assieme: sarebbe ora di smettere di far credere alla gente che esistano appigli sicuri, e cominciare a parlare di una soluzione che preveda un cambiamento profondo dell’economia mondiale, la quale sta dimostrando di non poter essere in alcun modo salvata mediante privatizzazioni indiscrimante, contratti precari e tagli alle pensioni.


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