Il treno, la mattina, è stranamente mezzo vuoto. La linea per Milano non è molto frequentata dai pendolari. In mezzo alle poche persone vestite di nero, fa sempre un po' specie vedere un gruppo a tinte forti: rosse, verdi, gialle. Non siamo dei clown, solo una decina di scialpinisti del lunedì.
Il treno attraversa longitudinalmente la profonda valle che taglia il Cantone di Uri . Il cielo è grigio, non c'è traccia di neve. A Göschenen, il paese conosciuto da chiunque (e sono molti) sia rimasto bloccato per ore aspettando di passare il traforo del San Gottardo, fa quasi caldo. Di solito, in dicembre, scendendo dal treno e cambiando binario, bisogna correre per non congelarsi. Oggi non mi chiudo neanche la giacca.
Solo ad Andermatt appaiono le prime tracce di neve, in molti punti macchiata dal nero della terra sottostante. Un altro pezzo di treno ed eccoci a Oberalpass, la cui stazione sciistica sta ancora aspettando ad aprire i battenti e ricorda vagamente un villaggio abbandonato del Far West. Noi non abbiamo bisogno di skilift, e le pendici che portano al Pazolastock sonno sufficientemente imbiancate.
La salita è regolare e piuttosto facile. Il sole decide di accompagnarci ogni tanto, facendo a nascondino da dietro alle nuvole. Il vento, che ci ha ignorati per tutto il percorso, inizia a farsi sentire molto forte in vetta, costringendoci a ripararci dietro a una malga per togliere le pelli e prepararci per scendere. La discesa, come sempre, è splendida.