Buonasera Italia.

Creato il 24 luglio 2014 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

L’Hautacam oggi faceva paura. L’ultima e terribile tappa di montagna con l’arrivo a quasi milleottocento metri di quota dopo aver sopportato i duemila del leggendario Tourmalet. Con il suo nome duro, secco, sembrava quasi un avvertimento. Per tutti. Per quelli che lottano per un gradino del podio, per quelli che cercano la vittoria di tappa e anche per chi, in cima a queste salite, ci vorrebbe semplicemente arrivare senza dover sputare l’anima, come tocca a tutti quelli che non sono fatti per la montagna e per le strade che salgono. Ma non è detto che quando si ha paura venga meno il coraggio. Anzi, forse è proprio quando ci si sente più indifesi che viene voglia di tirare fuori tutto, anche quello che credevamo di non avere.

Mancano ancora centoventi chilometri all’arrivo quando parte la fuga. La cerca per primo Daniel Oss poi altri si accodano. Tra di loro c’è anche Alessandro de Marchi assieme al suo compagno di squadra Marco Marcato. Tre ragazzi che sembrano non avere niente in comune, eppure hanno qualcosa che li unisce in questa cavalcata da lontano verso l’ultimo gigante dei Pirenei. Daniel è un ciclista innamorato del pavè, passista instancabile e forse a queste tappe ci è poco avvezzo: le strade salgono troppo per chi ha un fisico come il suo, possente e plasmato per restare al vento per chilometri. Alessandro ha le gambe e il volto scavato degli scalatori, l’anno scorso, al Delfinato, ha vinto sul Risoul e anche quest’anno stava cercando disperatamente la sua montagna da domare. A Marco, invece, il gruppo sta stretto. E’ uno di quelli che mette spesso il suo nome nelle fughe e che in questo Tour ha fatto chilometri e chilometri davanti a servizio del Capitano Peter Sagan, alla continua caccia della vittoria.
C’è la tenacia che li tiene uniti come un filo invisibile ed indistruttibile. Una tenacia che nel ciclismo regala la forza di provarci ogni giorno, anche dopo quasi tre settimane di corsa massacrante. Provarci in una tappa dove la fuga rischiava di essere mangiata dal gruppo a piccoli morsi, piano piano, divorandosi la speranza. C’è qualcosa, in questo sport e in questi ragazzi, che assomiglia a follia consapevole che è meglio chiamare coraggio. Niente paura. O forse un po’ sì. Delle gambe che fanno male, dei crampi, della fatica, della stanchezza. Cose che sulla strada si affrontano guardando avanti, ripetendosi di essere forti, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Cose che sulla strada fanno resistere.

Buonasera Italia che torni dal lavoro e, prima ancora di farti la doccia, accendi la televisione per guardare la replica. Guarda bene questi ragazzi che parlano la nostra stessa lingua e sono stati in fuga fino ai piedi dell’Hautacam. Buonasera Italia che sei in coda in tangenziale e accendi la radio per sentire cos’è successo oggi. Ascolta la fatica che mettono nella loro bisaccia per rendere conto ai sogni. Che sono sempre grandi e faticosi, come le salite. Buonasera Italia che metti in tavola la pasta al pomodoro e ti incanti davanti a questi occhi lucidi per lo sforzo e forse un po’ per la tristezza di dover tornare in gruppo. Buonasera Italia che alzi il volume al massimo per rivedere lo scatto di Vincenzo Nibali quando mancavano nove chilometri alla vetta. Una lingua cattiva di strada che il ragazzo di Messina si mangia in un boccone, ancora una volta. Per la quarta volta. E’ in giallo, Vincenzo. E’ un italiano in maglia gialla dopo quegli anni belli che ricordiamo con dolcezza e malinconia. Arriva da solo, in cima a quel mostro che tutti temevano e indica il cuore. Quello che gli ha sempre detto di fare come sentiva. Il ciclismo non è uno sport da ingegneri. E quando lo diventa perde la sua anima. Vincenzo attacca perché la sua indole, il suo sangue, i suoi muscoli glielo impongono, è una questione di sentimento. Ascoltare il momento giusto. Ascoltarsi al di là di tutte le voci che sono impegnate a puntare il dito. Lui, il dito, oggi l’ha puntato su sé stesso. Eccolo qua Vincenzo. Ragazzo sulla bicicletta in vetta al mondo. Eccoli qua, il nostro orgoglio. Ragazzi che arrivano sfiniti dopo quella fuga che è stata un grande sogno. Il primo e gli altri. No, gli ordini d’arrivo si sgretolano. Hanno gli occhi lucidi, proprio come noi. Stasera li abbiamo tutti. Tira fuori le tue bandiere, Italia, togli la polvere, appendile ai balconi, alle finestre, canta. Parigi è vicina e parla la lingua dei nostri ragazzi, questi qui ai quali vogliamo bene e che hanno fatto vedere di saper essere tenaci e coraggiosi oltre sé stessi. Si può essere felici. Si può essere orgogliosi.