Buoni propositi di incomunicabilità

Creato il 01 dicembre 2013 da Pasquale Allegro

 Ovvero di come fuggire la tentazione del giornalismo di provincia.


Non comunicare più, cominciare a dire qualcosa che ci appartenga.
Tra il dire e il parlare c’è la differenza che corre tra l’interpretazione e il verso del cacatua. “Comunicato” è il selvaggio tecnicismo che s’ammanta dell’etica dell’informare, mentre non fa altro che formare la conoscenza degli individui sulla veloce e trasparente smania di sapere a pillole, e buttare giù. Il suffisso “stampa” è d’ausilio alla deglutizione.Scrivere su un giornale di provincia è un po’ come ferir di fioretto la scrittura in sé, come quando Baudelaire scimmiottava un duello con la penna a fender l’aria; sarebbe molto meglio, senza colpo ferire, soccombere all’inespresso.I lettori di provincia preferiscono immagini alle parole, e allora la stampa di provincia non ha mai scritto veramente, ha solo aggiunto didascalie. Perché i volti delle notizie parlano tanto, e i giornalisti ammutoliscono comunicando.Comunicare come se fossimo soli al mondo, essendo costretti a descrivere a parole finanche i lineamenti marcati di un volto sconosciuto. Si comincerebbe così a dire l’uomo e a raccontare i suoi sentimenti, come fosse un ricalco fatto a inchiostro.Fare posto al delirio del racconto per riconoscere negli altri non il disinformato, ma il deformato, nel senso che la conoscenza del fruitore è così sottovalutata che non si tiene conto della sua capacità di confermare o confutare.Il cronista di provincia è sfruttato a ragione, perché solo uno stolto o un filantropo potrebbe riconoscere ad un comunicato stampa un valore che si dica intellettuale, se non almeno umano.Con uno scatto di estremo coraggio invitare a non farsi leggere perché, per le premesse di cui sopra, non si scrive né per sé né per i lettori, ma per un concetto altrimenti detto “giornale”, che non riconosce altra destinazione che la notizia, come se non creasse nulla ma fosse un generatore tecnico. Di conseguenza, con uno scatto di estremo coraggio, considerarsi l’operaio di produzione.

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