2009
Terza puntata de "Le recensioni riciclate" (al solito si ringrazia DeBaser). Una rubrica indolentecologica.
Un vinile 12" infilato in una confezione nera, nessuna scritta, nessuna informazione sul disco, solo i nomi degli artisti e quelli delle tracce.
Che li leggi e capisci, Burial e Four Tet: maestri dell'avanguardia elettronica (ma non solo, anzi l'elettronica è la punta dell'iceberg) enigmatici come pochi, sia nella musica che nella vita. Una collaborazione inaspettata quanto sorprendente. 18 minuti di musica, 2 tracce, una per lato: tutto quello che c'è da sapere, il resto te lo dice la musica.
E allora "Moth", una falena che vola decisa verso luoghi oscuri e misteriosi: un loop di synth alienante, sempre uguale, su una ritmica pari, sempre uguale, per nove minuti. E sotto vocine stralunate, tipiche della produzione di Burial, scampanelli, silenzi misteriosi. Un movimento monotono, ripetitivo, peristaltico, incessante, quasi indescrivibile. Inebria e soffoca. Più soffoca, più inebria. Lo ascolti e ti senti in pace con te stesso, ci sei solo tu e questo suono ruvido e meccanico che ti avvolge e ti massaggia: potresti quasi addormentarti e dormire in posizione fetale, regredire a uno stato emotivamente embrionale. Un synth che si ripete, voci che spuntano dal nulla, un basso profondo che fa pulsare tutto il corpo, filamenti di metallo che svolazzano freddamente e si frizionano a vicenda. Un amplesso in musica, caldissimo nella gelidità dei singoli suoni, senza fine: meraviglioso. Potresti riascoltare questo suono in eterno e mai annoiarti.
Dall'altra lato, "Wolf Cub", qui siamo nel mondo di Four Tet: suoni esotici evocanti l'oriente e luoghi sconfinati, selvaggi, che la nostra immaginazione fatica a elaborare. Un carillon di un altro pianeta duetta con uno zampillo elettronico. I due suoni si intrecciano e poi si sfaldano incalzati da un basso profondo come un pozzo che va giù verso il centro della terra, dove la mancanza di luce non è più "buio" ma qualcosa di più, qualcosa di terrificante, un luogo così oscuro che è come se non esistessi più. Ed eccola, la ritmica dispari iper-sghemba di Burial, invadente, che pare spintonarti da tutti i lati: puoi solo chiuderti a riccio e trattenere il fiato, far finta che sia solo un sogno. È una caduta libera, un tuffo a spirale nell'inconscio. Qualsiasi descrizione "obiettiva" perde senso. È una musica che va affrontata da soli. Non si può condividere: così scivolosa, informe e tenebrosa, sempre diversa a seconda di chi la guarda. Ognuno di noi, la combatterà in modo differente. Tappatevi il naso, chiudete gli occhi. Non è una passeggiata.
Due maestri. Due tracce. Diciotto minuti. Non un solo secondo sprecato.
Buon viaggio.
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P.S.: Come potete vedere era un vinile in edizione limitata e non si trova a prezzi umani.