Mentre cerco ancora di capire se Ryan Reynolds sia figo o sfrido - giudicate voi - l'attore canadese trova una casa da sogno a Los Angeles e ci si trasferisce per andarci a vivere con la moglie, Scarlett Johanson. Ben più modesto alloggio - un monolocale - è quello invece nel quale finisce, non per sua volontà, nella sua ultima fatica cinematografica: "Buried".
Ora, questo è un film che si vuole spacciare per assoluta novità ma forse non tutti sanno che in un episodio di "CSI Las Vegas", il personaggio di Nick Stokes - quello che dice "non ho la forfora perché uso Clear" - subiva analogo trattamento per mano di un criminale che lo seppelliva vivo e vegeto, lasciando al resto della squadra forense il compito di trovarne la tomba prima che fosse troppo tardi.
Per non parlare di "The screaming woman" (1972) film nel quale l'unica via per salvare una donna sepolta viva dal marito era superare lo scetticismo e dar credito alle parole di una paziente appena uscita dal manicomio - Oliva de Havilland - o alle strane gesta di un cane che scavava sempre in un punto preciso del terreno.
Al personaggio di Ryan Reynolds - Paul - accade più o meno lo stesso: apre gli occhi, è in uno spazio chiuso e ha con sé solo una matita, un accendino e un telefono cellulare dalla ricezione e dall'autonomia limitate nel tempo. Spero non sia un abbonato Tim perché altrimenti già lo do per spacciato.
Consigliatissimo per chi soffrisse di claustrofobia.
90 sono i minuti che Paul ha a disposizione per cercare di uscire dall'incubo e per capire, nel frattempo, come mai ci è finito dentro. No, non è un giochino scemo inventato da Jocelyn, è solo un'operazione commerciale per incentivare le cremazioni. Vorrei però sapere se al 90° fischierà l'arbitro o se si andrà ai rigori. Immagino che dovrò aspettare l'8 ottobre venturo per sedere sugli spalti ... cioè per sapere di che morte Ryan Reynolds dovrà morire!