Burqa sì, Burqa no

Da Ippaso

foto:flickr

Il 17 settembre la Lega ha annunciato che presenterà una legge anti-burqa in stile francese.

Naturalmente i giornali filo-governativi hanno ri-iniziato subito la campagna mediatica anti-burqa presentando subito vari casi. Ne cito uno per tutti: la mamma in burqa che spaventa i bimbi all’asilo della figlia, ascesa agli onori della cronaca con il nome di maestra nera (secondo i quotidiani così è chiamata da tutti i bimbi dell’asilo).

Non stiamo qui a dire cosa sia giusto e cosa no. Noi occidentali non capiamo bene fin dove arrivi la religione e dove cominci il fanatismo e il maschilismo. E per questo ci risulta impossibile stabilire da soli le regole e mettere dei paletti nei punti giusti. Ogni tanto però salta fuori qualcuno sicuro delle proprie idee e comincia a citare a ripetizione varie leggi applicabili contro l’islam: ad esempio quelle che vieterebbero di avere il viso nascosto (leggi anti-terrorismo). Discorso simile vale  per i sempre accesi dibattiti moschea sì, moschea no (ripenso sempre con lo stesso stupore a Calderoli che portava a guinzaglio i maiali).

Come fare allora? Io la mia idea ce l’ho, ma non vorrei aggiungere opinioni su opinioni (non ne usciremmo più), tanto più che il mio pensiero non è certo più autorevole di quello di chi si è già espresso.

La soluzione è come sempre tanto semplice quanto ignorata dalle Istituzioni, e si trova nella Costituzione, nella prima parte, sotto il titolo Principi Fondamentali.

Art. 8

Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.

Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. [2]

E’ superfluo (ma lo faccio comunque) riportare anche l’articolo 19 e il 20 del Titolo Primo (Rapporti Civili):

Art. 19.

Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

Art. 20.

Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.

Allora, la Costituzione stessa stabilisce che le religioni sono tutte uguali davanti alla legge italiane. In più dice che i rapporti religione-Stato (ad esempio i rapporti tra l’islam e l’Italia) devono essere regolati tramite delle regole condivise (oggi si direbbe regole bipartisan). Insomma, l’equivalente dei Patti Lateranensi per i musulmani – ma anche per tutte le altre fedi e religioni.

Ora, qual è il problema? Il problema è che accordi del genere richiederebbero un impegno serio e duraturo, mesi di confronto costruttivo con gli altri, per arrivare a capire cosa sia religione e cosa fanatismo. Capire le loro ragioni, il loro modo di pensare, le loro necessità. Stop alla propaganda, agli slogan faciloni urlati dai salotti televisivi, ai maiali portati a pascolare nei loro luoghi di culto… [battuta] a meno che gli accordi non lo prevedano… [\battuta].

Purtroppo questo impegno non sembra alla portata dell’attuale politica italiana. Sedersi a un tavolo per compilare dei nuovi Patti per le Religioni è forse troppo per il Governo del Fare. Oggigiorno si preferisce ingolfare lo Stato italiano promulgando leggi sempre confuse, nebbiose, preda di decine di interpretazioni possibili (da sfruttare secondo le esigenze). E le poche linee guide nette e limpide vengono ignorante e abbandonate in quel groviglio indistricabile di opinioni mariadefilippiane strillate in continuazione nella nostra Società Moderna.