Business alla giapponese

Da Albino

foto: wikipedia

Premessa: I fatti raccontati in questo post sono realmente accaduti; per questo motivo i nomi dei protagonisti, siano essi aziende o persone, sono stati cambiati. Io invece indosso occhiali con naso e baffo finto, nella speranza che nessuno mi riconosca.

Salve a tutti. Mi chiamo Arpino e lavoro per la Yamamoto Inc., un’azienda che si occupa di raddrizzamento banane con sede in Giappone, a Shibuya (per ovvi motivi di reperibilita’ della manodopera). Per la precisione, mi occupo di progetti all’estero, ordunque spesso mi ritrovo a dover viaggiare.

Andare in trasferta non in Giappone bensi’ dal Giappone e’ un’esperienza alquanto strana. Innanzitutto ho notato che la maggior parte della gente viaggia per motivi che altrove chiameremmo inutili, o mettiamola cosi’: un po’ futili, non strettamente necessari. A volte si sta via quattro-cinque giorni solo per una riunione di mezza giornata, di quelle che oggigiorno si fanno in videoconferenza. Altre volte, si va via in sei-sette persone quando in realta’ ne basterebbero due. Per dire, ho visto la mia azienda mandare in viaggio intercontinentale sulle quaranta persone, solo per una fiera in Germania. Ripeto: Quaranta persone in fiera dall’altra parte del mondo.

Ma le stranezze non finiscono qui. Di solito all’estero si arriva all’aeroporto di destinazione e ci si ritrova di fronte il classico giapponese che tiene un cartello in mano, col nome dell’azienda scritto sopra. Costui e’ il factotum del viaggio, l’autista che ti porta in giro alle riunioni e che ti consiglia dove andare a cena, l’interprete per l’albergo, eccetera. Se vai a Parigi ti aspetta un giapponese con la puzza sotto il naso che vive a Parigi e parla francese, se vai a Roma trovi un giapponese che parla come Totti e strombazza nel traffico a suon di malimort…! mentre contemporaneamente intrattiene composta e amichevole conversazione in giapponese superformale coi suoi ospiti seduti dietro.

Altra stranezza che ho notato: si viaggia sempre in cinque stelle, si vola sempre (o la maggior parte delle volte) in business, eccetera. Cioe’, io non e’ che sono di primo pelo, diciamo: nella mia vita ho viaggiato per lavoro, basti ricordare i 67 voli di lavoro del 2007, o quelli tre-quattro settimane in cui andavo al lavoro in aereo privato. Quelli erano tempi in cui il budget per le sole trasferte del mio team superavano di gran lunga il milione di dollari, visto che il contratto in ballo aveva due zeri in piu’. Ma perfino all’epoca dei superbudget noi si viaggiava sempre in economica, e l’aereo privato l’abbiamo preso solo perche’ dovevamo essere ogni giorno in due luoghi contemporaneamente.Per questo, in Giappone mi sono ritrovato a chiedermi: chi glieli caccia i soldi?

La spiegazione di questo mistero l’ho avuta mi pare la seconda volta in cui sono andato in Micronesia (in realta’ ero altrove, e aggiungerei purtroppo), quando mi e’ capitato il conto dell’albergo del team sotto mano. Ho visto che la prenotazione non era a nome della Yamamoto Inc, bensi’ di quella che non si capisce se e’ una banca o un’agenzia viaggi, la Sakamoto Bank Travels.

Quella sera a cena, tra un sushi un bicchiere di sake (perche’ i colleghi avevano chiesto all’autista di portarci non a mangiare micronesiano (?), ma naturalmente giapponese), ho chiesto ai colleghi: che c’entra la Sakamoto Bank coi viaggi?

Loro mi hanno guardato come se venissi da un altro pianeta, e probabilmente in quel momento era anche vero. Poi mi hanno svelato l’arcano, con la pazienza con cui si spiega a un bambino quando arriva alla fase dei perche’.

Ed eccomi qui, ora, a tramandare il Verbo. Dovete sapere, cari lettori, che in Giappone ci sono questi grandissimi istituti finanziari tipo la Mitsubishi Ginko, o Mitsui, o Sumitomo, eccetera, che si occupano di… esportare il business giapponese. Sembra una banalita’, ma sentite un po’ cosa succede.

Tu, azienda, produci una cosa in Giappone e vuoi esportare all’estero? Benissimo, niente di piu’ semplice: basta che ti appoggi all’istituto finanziario. In pratica fai un contratto di cinque, dieci anni (quello che e’), in cui la banca (perche’ alla fine di banche si tratta) si impegna a supportarti al 100% nel tuo piano di espansione all’estero, e tu azienda ti impegni a versargli il x% (di solito dal 3 al 4, ma dipende) di quello che guadagnerai dalla tua espansione all’estero. Il tutto per te e’ assolutamente, squisitamente gratis.

Ah, ecco la spiegazione di tutto. Ecco le risposte che volevamo. Ecco perche’ di tutti questi viaggi lussuosi: la Sakamoto Bank ha uffici ovunque nel mondo che si occupano di questi affari (ecco il perche’ della dicitura “Travels”: alla fine e’ un’agenzia viaggi, ma non certo per chi vuole andare in viaggio di nozze). Coi numeri che fa, la Sakamoto Bank ti fa volare in business al prezzo dell’economica. La Sakamoto porta cosi’ tanti giapponesi tutti allo stesso albergo, da far scendere il prezzo del cinque stelle ai Campi Elisi a Parigi ad un misero B&B (ora esagero, ma immaginate gli sconti. Certo, i giappi se ne approfittano, ma non hanno forse dedicato la loro vita all’azienda? Sono esseri umani anche loro in fondo, lasciateli distrarre un po’ ogni tanto!).

Ecco la spiegazione sull’autista: fa parte del pacchetto “tutto compreso”, no worries, in cui la Sakamoto Bank prende la Yamamoto Inc., le trova il business, la sostiene dal punto di vista legale e finanziario, la porta dal Giappone fino alla soglia del potenziale cliente estero, il tutto squisitamente aggratis.

E tu, Yamamoto Inc? Beh, tu non hai altro da fare che portare la tua tecnologia. Ecco perche’ in progetti complessi la Yamamoto si trovera’ a dover lavorare in ambienti di giapponesi: perche’ alla fine, come in un gioco di Matrioske, si e’ parte di un disegno piu’ grande. E, naturalmente, ecco spiegato perche’ ai giapponesi non serve parlare l’inglese: le aziende che non sono in prima linea collaborano solo tra giapponesi.

Ora, qualcuno di voi obiettera’: ma se alla scadenza del contratto la Yamamoto non ha preso nessun contratto? Se il tutto si e’ dimostrato un totale fallimento? Cosa succede quando si scopre che i dipendenti della Yamamoto hanno viaggiato a sbafo per dieci anni e non hanno concluso nulla?

A questo punto, entra in gioco il fatto che questo giochetto viene portato avanti da giapponesi. In Italia non potrebbe mai funzionare: figurarsi se le banche ti fanno viaggiare a scrocco, e soprattutto figurarsi se certe aziende non ne approfitterebbero, appunto, per viaggiare a scrocco.

In Giappone e’ diverso. Prima di tutto, l’istituto finanziario e’ gigantesco, e porta letteralmente l’azienda a fare l’affare. Difficile sbagliare. Ma e’ cosi’ che piace ai giapponesi: le cose facili da raggiungere ma in cui non puoi sbagliare. Ma l’azienda deve dimostrare di non approfittarsene. Se lo fa, beh… non andra’ piu’ all’estero. Mai piu’, nei secoli dei secoli, con nessun altro istituto finanziario. Perche’ qui quando si e’ cancellati lo si e’ per sempre, e quando ci si allea lo si fa per sempre; non si cambia, e la concorrenza e’ piu’ che altro un intreccio di alleanze in cui si cerca di sopravvivere tutti. Ecco perche’, per dire, in Italia la FIAT, l’azienda automobilistica piu’ grande, col tempo si e’ mangiata le varie Lancia, Ferrari, Alfa, mentre in Giappone Honda e’ Honda, Toyota e’ Toyota, Suzuki e’ Suzuki, e non si comprerebbero mai l’un l’altra. Perche’ qui amano lo stallo, l’equilibrio, e lo stravolgimento e’ un male. Pochissime fusioni di aziende avvengono da queste parti; e d’altronde chi vorrebbe mai vedersi arrivare un’altra orda di persone a minare la propria scalata sociale? No: per questo le aziende sopravvivono, si odiano di facciata ma sono sempre pronte a darsi una mano a vicenda, il tutto sotto le regole dell’equilibrio, e sotto l’occhio vigile degli istituti finanziari, e del governo, e spesso di una combinazione dei precedenti.

Ecco, signori. Questo vi fa capire un po’ il background che ha portato il Giappone ad avere il famoso “miracolo” del dopoguerra. Questo vi spiega come hanno fatto certe marche ad invadere il mondo, tutte piu’ o meno in massa. E non parlo solo di Sony o Hitachi, ma anche dei cambi Shimano, dei biscotti Mikado, degli Uni Posca, delle penne Pilot, eccetera eccetera eccetera. Che cosa credevate, che il signor Posca un giorno si fosse svegliato e fosse partito per un giro del mondo a sue spese per vendere pennarelli? Tsk. (In realta’ quello della Posca e’ un esempio che non calza molto, essendo la Posca in realta’ della Mitsubishi Pencil. Ma vabbe’, l’ho gia’ scritto, rende l’idea, va bene cosi’, ndArpino)

E ora? Beh, dopo la bolla e soprattutto di recente credo che quello spirito si sia un po’ perso. Forse la generazione e’ cambiata, magari si sono rammolliti un po’: questa e’ la mia impressione personale. O si sono seduti sugli allori del loro essere paese ricco, chi lo sa.

O forse la concorrenza, il mondo globalizzato; ma in fondo, cosa importa? L’importante e’ che ora c’e’ la Cina che sta usando il loro stesso trucchetto, solo in maniera completamente diversa, piu’ “cinese” diciamo.

E’ proprio adesso che viene il bello, cari lettori. Non ne so abbastanza da poter parlare con certezza, ma il mio senso di ragno mi dice che la bolla cinese e’ cosi’ grande che l’eco della sua deflagrazione, una volta esplosa, si sentira’ per anni. Fossi in voi mi metterei al riparo, altro che nube tossica di Fukushima.


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