“Business ethics”, ovvero come conciliare etica ed economia

Creato il 03 ottobre 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

La religione e la morale si sono sempre interrogate sul conflitto prodotto tra le esigenze dell’economia e quelle dell’etica. Con questa considerazione inizia la riflessione di Sebastiano Maffettone sulla possibilità di realizzare una “Missione sociale del capitalismo”1: espressione che oggi suona quasi come un ossimoro. Come punto di partenza, Maffettone cita Keynes: “Il capitalismo non è un successo. Non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso, e non produce i beni necessari. In breve, non ci piace, e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi”. Il problema – afferma l’autore dell’articolo – affrontato in termini pratici e realistici, non è tanto “capitalismo sì o no?”, ma piuttosto “quale capitalismo?”, ovvero in che modo si può riuscire a conciliare l’anima “economica” e quella “etica”, creando un sistema capitalistico migliore?

Maffettone introduce il concetto di business ethics, ovvero una riflessione sul sistema economico attuabile sulla base di principi morali. Nel discorso sulla business ethics due termini acquisiscono particolare rilievo: il Social impact investment (Sii) e la Responsabilità sociale di impresa (Sri). Il Sii è “una forma di investimento che ha come scopo primario quello di raggiungere obiettivi tipici dell’impresa sociale ma al tempo stesso ottenendo un ritorno finanziario”. Il fine dell’impresa sociale non è solo il profitto, ma una missione direttamente sociale (come l’emancipazione dei detenuti o la formulazione di un’educazione collettiva alla legalità in territori afflitti dalla presenza della criminalità organizzata). Fondamentale è “il coinvolgimento del settore privato dell’economia nella creazione di servizi a supporto di parti svantaggiate della popolazione”.

In vista del raggiungimento degli obiettivi posti dalla missione sociale, il Sii pone particolare importanza alla capacità di attrarre capitali, proponendo una serie di strategie: il crowdfunding, la venture philantropy, il credito mutualistico e in particolare la creazione di social bonds, ovvero “la raccolta di capitali privati per la realizzazione di finalità ad alto impatto sociale”.

La Rsi implica invece “un allargamento dei parametri da tenere in considerazione”: l’efficienza resta al primo posto, ma diventano fortemente rilevanti anche “gli effetti dell’attività imprenditoriale in termini di equità sociale e tutela dell’ambiente”. In questo modo la business ethics ha a disposizione parametri validi per valutare la qualità del capitalismo stesso.

Insomma, la constatazione di Maffettone è che “si comincia a pensare che l’investimento economico possa fungere da tramite per ottenere una società migliore”. Ricordiamo però che per ottenere una “buona economia” è necessaria anche una “buona politica”. “Se ami troppo il denaro, non fare attività politica”: così recita il secondo punto del “Decalogo del buon politico” di Luigi Sturzo, proposto come codice etico da Giovanni Palladino e recentemente ripreso e diffuso da Corrado Passera il quale, a proposito di Social impact investment, avanza la necessità di creare una interazione stabile tra pubblico e privato, anche nell’ottica di una valorizzazione del nostro patrimonio culturale.

MC

1   Sul Sole 24 ore del 28 settembre.


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