Butìglie – un racconto

Creato il 01 giugno 2011 da Unarosaverde

Oggi posto un racconto che il mio amico Franco Pina (vedi qui, scritto piccolo piccolo sotto il disegno, per sapere qualcosa di lui) mi ha spedito per alleviarmi un po’ le ore lunghe di convalescenza. Ha iniziato a scrivere solo poche settimane fa. Dipinge e plasma materiali, di solito. Secondo me è già su un’ottima strada anche con le parole. Chissà cosa creerà una volta in pensione!

È strano come lavori la  mente umana e quali strani percorsi scelga  per riorganizzare le proprie idee.

A volte i ricordi riaffiorano nella memoria lentamente, come gnocchi nell’acqua bollente che risalgono uno alla volta piano piano e sulla superficie il puzzle si ricompone; altre volte invece…bum! La porta si spalanca ed eccolo lì nitido, dentro la memoria, subito decifrabile: perfino gli odori, i suoni, il caldo del sole sulla pelle, il taglio di luce che divide la stanza…

Mi dice mia moglie:  

- Franco, per favore, già che scendi porta di sotto le bottiglie che domani è giovedì e passano per la raccolta differenziata del vetro. -

   Bum!

- Franco, per favore, già che scendi porta di sotto le bottiglie che domani è giovedì e passa il Butiglie.-

Mi disse mia madre.

Se mia moglie avesse formulato la richiesta in maniera diversa, ad esempio: 

-mi porteresti di sotto le bottiglie? –  

oppure:

- c’è  la raccolta differenziata, portami di sotto le bottiglie -  

probabilmente non sarebbe successo niente. Invece quella frase così costruita mi ha riportato nel palazzo in cui abitavo da bambino, una vecchia casa di ringhiera con il  grande cortile interno, il mio mondo per tutti gli anni dell’infanzia. Tutti noi che ci abitavamo le bottiglie  le lasciavamo nell’angolo sotto la finestra della signora Iole; la finestra era quella con i gerani.

La Iole era un donnone – almeno così appariva ai miei occhi – buona come il pane e con due seni enormi, burrosi, che sembravano due uova di pasqua, di quelle di cioccolato bianco, tanto che un giorno ho sentito dire da mio padre:

- non mi stupirei se una mattina mi vengono a dire che hanno trovato suo marito Gino soffocato da tutto quel ben di Dio-

E io me la immaginavo la Iole che, girandosi nel sonno, lo soffocava senza accorgersi, il povero Gino.

La storia andò diversamente: trovarono la Iole nel letto con un coltello da cucina piantato tra le uova di pasqua, i rivoli di sangue a disegnarle i fiocchi e Gino rannicchiato tra comodino e muro con lo sguardo fisso nel vuoto. Brutta bestia la gelosia.

Non era vero niente, ma lui si era convinto del contrario. È strano come lavori la  mente umana e quali strani percorsi scelga.

A trovarli così fu proprio il Butiglie una mattina in cui passava a ritirare il suo bottino di vetro colorato. Li vide attraverso le tende della finestra, quella dei gerani, poverino. Già che non le aveva tutte a posto di suo, le rotelle: gli mancava solo vedere quelle cose lì che lo dovettero ricoverare per lo choc che aveva preso.

Passarono mesi prima di rivederlo nel cortile e intanto le bottiglie aumentavano, ma noi mica eravamo bravi come lui a impilarle. Noi le mettevamo negli scatoloni che però quando pioveva si inzuppavano e le bottiglie rotolavano a terra. Io ho visto come faceva lui: ci costruiva delle piramidi dividendole per tipo,dimensione e colore del vetro, ma mica piramidi piccole, roba grossa, anche dieci metri di lato e lo faceva nel prato davanti a casa sua. Migliaia di bottiglie. Forse neanche lui sapeva quante erano.

Butiglie abitava in una baracca vicino all’argine del fiume, tra i pioppi. Non era del paese e nessuno si ricordava quando fosse arrivato o da dove; qualcuno diceva che forse era arrivato dal mare risalendo il fiume, come fanno i cefali con l’alta marea, fin dove l’acqua da salmastra  diventa dolce, altri invece pensavano che fosse venuto giù dalle valli come i tronchi scorticati e sbiancati trasportati dalla corrente durante una piena. Forse veniva proprio dal fondo di quelle bottiglie che raccoglieva. Chi lo sa.

A me non interessava. A me il Butiglie piaceva e, quando arrivava da noi, stavo lì a guardarlo mentre le sistemava nel suo carretto attaccato alla bici. Girava con una di quelle vecchie Bianchi, quelle con i freni a bacchetta. Aveva tutto un suo metodo per incastrarle e non farle muovere, una a testa in su, una a testa in giù, poi il bottiglione… fino alle piramidi.

Aveva il suo bel lavoro il Butiglie perché non è che lui veniva solo a prenderle: veniva anche a portartele.

-Butiglie, mi servono due damigiane e cento bottiglie che vado a comprare del vino-

- butiglie come? -

- emiliana-

- a lè de chel bun aluura-

E il mattino dopo nel cortile sentivi il suono della trombetta e il suo richiamo:

- peeeeeettt! butiiiglieee!-

 Pagavi poche lire, ti consegnava due damigiane e cento bottiglie linde e pulite, pronte per essere usate.

Nessuno teneva  più bottiglie vuote in paese: non c’era motivo. Nelle cantine c’erano solo bottiglie piene, mentre fuori le piramidi crescevano durante l’inverno e la primavera per poi diminuire drasticamente dopo la vendemmia. E così si andava avanti, anno dopo anno. Penso che il Butiglie, se oggi fosse ancora tra noi, verrebbe  insignito sicuramente di qualche onorificenza perché, senza saperlo, aveva inventato la raccolta differenziata e contemporaneamente il riciclo del vetro. Mi figuro la scena:

- “al signor Butiglie, per la grande dedizione profusa nella raccolta e nel riciclo delle bottiglie e contenitori vari in vetro, la comunità intera e lo stato Italiano sono fieri di nominarlo cavaliere di… bla… bla…bla…”

Invece erano i primi anni sessanta e tutti vedevano solo uno strano ometto, schivo e con qualche rotella fuori posto, che faceva il suo mestiere senza tanti sofismi. Sta di fatto che proprio nel luglio del 1962 cambiarono le cose perché  ci fu un periodo di mal tempo, che nessuno si ricordava d’aver mai visto prima. Un temporale via l’altro  ed il fiume continuava ad ingrossarsi e poi un altro temporale ancora, fino alla sera del ventidue quando la piena del fiume portò di colpo l’acqua di molti metri sopra il livello di guardia e nell’aria del paese si cominciò a sentire uno strano suono, come un leggero scampanio che si faceva sempre più forte man mano che il fiume si alzava.

La gente cominciò ad uscire dalle case per andare a vedere cosa succedeva e, come se si fossero dati appuntamento, si ritrovarono tutti sul ponte, quello della chieda di San Cristoforo, dove il fiume si fa più stretto prima di passare sotto gli archi e da lì poterono assistere allo spettacolo.

Le videro arrivare, trasportate dall’acqua del fiume in piena, tutte ordinatamente in fila, come soldati in parata, prima quelle bianche dell’acqua poi quelle marroni e poi le bordolesi, le emiliane, i bottiglioni, poi un piccolo drappello di magnum  e mathusalem  a capeggiare le renane e le alsaziane e più si avvicinavano e più il suono provocato dagli inevitabili scontri tra loro si faceva fragore. Ma nessuno pensò a tapparsi le orecchie tanto erano affascinati da quello spettacolo, improvvisamente illuminato dal chiarore di una luna piena apparsa a squarciare il cielo. Se ne rimasero tutti immobili al passaggio della parata e quando anche l’ultima bottiglia passò iniziò un nuovo brusio, che questa volta  partiva dal ponte: tutta la gente pronunciava la stessa parola:

- Butiglie? Butiglie? E il Butiglie?…

Butiglie probabilmente era stato il primo a passare ma nessuno lo aveva visto, perchè forse lui il fiume lo conosceva meglio di chiunque altro e se l’aveva risalito con i cefali era da loro che stava  tornando. Se invece l’aveva disceso con i tronchi in qualche piena, era con loro che stava continuando il viaggio. Se poi era dal fondo di qualche bottiglia il posto da cui veniva, quale miglior saluto gli poteva esser tributato se non quello di sentirle cantare tutte insieme?

-Allora hai deciso di scendere o le porto giù io le bottiglie?-

-No, no vado, è che mi era tornata alla mente una cosa-

- Ultimamente ti vedo un po’ assorto, qualcosa non va? -

- No per niente, anzi, è che pensavo: è strano come lavori la  mente umana e quali strani percorsi scelga a volte. –                    

  


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