C’è che in questi ultimi giorni d’agosto (vedi estate) sto dando ripetizioni di inglese.
C’è che mi piace farlo. Al punto che ieri mi hanno dovuto ricordare che era finita l’ora da quindici minuti circa, perché io ero troppo presa dallo spiegare e fare esercizi insieme alla mia allieva. E che oggi ho dovuto tenere costantemente gli occhi sull’orologio per sapere quando fermarmi. Altrimenti potrei andare avanti per ore.
Ma questo l’ho sempre saputo.
C’è che dopo tanto tempo rispolvero una verità che ho nascosto in un cassetto trai maglioni di lana e i sacchetti profuma-biancheria. Per non pensarci più.
C’è che quando fai una cosa che ti piace, stai bene. C’è che stai bene perché ciò che fai fa parte del tuo essere.
C’è che quando una cosa sai essere tua, nel profondo, acquisti una sicurezza che non pensavi di avere.
C’è che ti ricordi che esiste qualcosa che sai fare in modo naturale.
C’è che ti piace stare con i ragazzi, l’esperienza da group leader te l’ha confermato già, ma che ti piace ancora di più quando sai che puoi aiutarli questi ragazzi.
C’è che il tuo concetto di sapere non è mai stato quello dell’intellettuale nella torre d’avorio.
C’è che c’è poco da dire. Ti piace insegnare.
C’è che in Italia fare l’insegnante è quasi come dire “vorrei un unicorno”. C’è che non vorresti finire come questa signora qua.
C’è che sai che anche nelle migliori delle ipotesi finiresti come quella signora. Non ci arrivi neanche.
C’è che ti arrabbi anche, perché mentre tu vorresti ma non puoi, in classe ci sono professori che vorrebbero essere da tutt’altra parte ma che la comodità dell’impiego statale e del posto fisso non lo mollano - mica sono scemi - e intanto nessuno insegna ai ragazzi l’amore per il sapere e lo scoprire, ché le mie maestre e poi professoresse – donne che hanno sempre amato il loro lavoro, fino all’ultimo – sono invece riuscite a trasmettermi in toto. E per questo le ho sempre ammirate.
C’è che conosco tante persone come me che hanno accantonato questa idea perché è ormai un percorso irto di ostacoli e quasi sterile. C’è che questo mi mette tristezza.
C’è che quindi ripiego con cura il mio sogno e lo ripongo nel cassetto. C’è che spiegare il genitivo sassone mi limiterò a farlo in casi come le ripetizioni. Se e quando riuscirò ad averne qualcuna. E continuerò a guardarmi attorno alla ricerca di un posto anche per me.
C’è che negli ultimi giorni di quest’estate mi ritrovo a domandarmi ancora che fine farò, in attesa di sapere quando avrò uno stage (per il quale ho pagato) da parte del master che ho fatto perché i miei sogni sono tanti e questo lo voglio seguire e vedere dove mi porta.
C’è che ci sono troppe cose da pensare in questi giorni. Ma c’è che uno dei miei sogni è già bello che andato. Almeno per ora.
C’è che questo post è troppo triste quindi ora la smetto e torno al solito umore. Ma intanto beccatevelo così perché c’è che a volte uno ha bisogno di sfogarsi. Per poter tornare a vedere le cose dalla giusta prospettiva.