In questo blog si è affrontato molto spesso il tema dei concorsi nelle università, dei baroni, del precariato nella ricerca.
Credo che in questo contesto sia molto interessante e soprattutto utile la visione di questo video, tratto da una recente puntata di Report:
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=bK_TTQMoF38
Lo trovo molto istruttivo. Mostra esplicitamente alcuni mezzucci, ben noti, che spesso usa il barone di turno per far risultare vincente il suo candidato, il suo protetto, come valutare in modo sproporzionato pubblicazioni apparse solo su riviste minori, o creare commissioni spesso in pieno conflitto di interesse. E tutto passa in genere in silenzio, perché pochi sono i mezzi per opporsi, e perché opporsi spesso significa mettersi contro un sistema in cui si sta cercando di entrare.
Alcuni momenti del servizio sono strepitosi, quasi esilaranti se non fossero al tempo stesso tragici e sconcertanti, ad esempio la parte in cui si parla del quadro fatto commissionare alla sorella della candidata di casa, o la parte riguardante il secondo concorso, in cui ogni domanda assolutamente logica del cronista, che verrebbe in mente a chiunque di fronte a certi dati oggettivi (ci risiamo con la forma mentis del fisico..) viene cercata di far passare come “mal posta”. Credo che in entrambe le situazioni un certo imbarazzo dei prof sia piuttosto evidente.. forse c’è un limite anche alla faccia tosta..
In questi pochi minuti abbiamo una buona visione d’insieme della realtà, dai candidati vincenti senza pubblicazioni in “vere” riviste, alla reiterazione di concorsi fasulli dopo i ricorsi vinti dagli altri candidati – una sorta di strategia del logoramento dell’onesto, mi sembra di poterla definire – insomma, tutto il panorama del peggio di questa Italia. A me personalmente ancora colpisce la naturalezza con cui il sistema dell’Università italiana va avanti (spesso) ignorando le regole base della meritocrazia.
Certo, questo video rappresenta il lato peggiore della questione, e non nego che esistano realtà di eccellenza e di correttezza, e che spesso purtroppo si fanno dei concorsi ad hoc per regolarizzare la posizione di chi, in maniera valida e competente lavora anni ed anni in condizione di precariato. Una sorta di compensazione per un lavoro svolto spesso in modo eccellente, ma sempre tristemente sottopagato. Questa è un’altra peculiarità italiana.
Ma casi come nel video sono molto comuni, e chiunque fa ricerca conosce almeno un collega- quando non è capitato a lui stesso- che ha partecipato ad un concorso di fatto solo nominale, ed inoltre con un candidato vincente chiaramente non all’altezza. Personalmente auspicherei un sistema “a chiamata diretta”, come nel resto del mondo, dove chi ti assume si assume anche la responsabilità della tua produttività, almeno per un certo periodo.
Ma ho anche detto che questo video è utile. In effetti, l’idea di un gruppo di precari che si associa per combattere il malcostume, e che quindi riesce ad avere a disposizione dei mezzi anche economici, visti i costi dei ricorsi, per combattere certi casi eclatanti, mi sembra non solo fattibile, ma decisamente auspicabile. Se nascessero piccoli gruppi come quello del servizio in singole università, in piccole realtà locali, poi sarebbe più facile organizzare una rete di questi gruppi, che potrebbe fronteggiare situazioni anche a livello nazionale. E’ facile scoraggiarsi quando si è da soli, diverso è il discorso quando puoi appoggiarti ad un’associazione di persone, che oltretutto si trovano nella tua stessa condizione. Inoltre è fondamentale in questi casi la veicolazione delle informazioni, avere accesso ai dati, per poter combattere eventuali irregolarità. Oltre, e lo ribadisco, alla possibilità di creare un fondo di raccolta di denaro per poter sostenere i ricorsi degli associati di fronte a palesi scorrettezze. Qualcuno lo chiamerà “il sindacato dei ricercatori precari”, ma non credo che la terminologia sia importante. Importante è opporsi, dire no, come hanno fatto questi ragazzi, senza farsi sconfiggere dalla frustrazione di temere di non poter combattere un sistema troppo grande e radicato nella realtà universitaria.