Si sa, per gli scudieri televisivi il fanciullo è preda ambita. Va sedotto e condotto nei meandri dell’audience degli spazi pomeridiani, per colmare quelle fasce orarie inevitabilmente avare di lavoratori e dunque bisognose di offrire un altro tipo di offerta catodica, sull’onda lunga della “Tv dei Ragazzi” di quei mitici anni Settanta.
Nei decenni che furono, il ragazzo è sempre stato la ruota di scorta dell’offerta televisiva, quel “garzone” ormai troppo grande per il Carosello ma ancora tenuto fuori dal prodotto per adulti, dal varietà da lustrini e paillettes o dalla seriosa trasmissione politica. Nel processo multiforme che ha visto l’emersione di un palinsesto sempre più attento alle nuove esigenze, un personaggio su tutti ha contribuito all’ulteriore metamorfosi di questa nuovo volto della televisione italiana: Maria De Filippi.
Maria De Filippi durante una puntata di "Amici" del 1992
Ricordo le prime edizioni del suo format, in quella sorta di autogestione scolastica trasbordata davanti alle telecamere, ove pur tenendo fuori la politica, non mancava il confronto tra ragazzi (e non) sui problemi sociali più scottanti, come quello dell’universo famigliare, dei rapporti tra i genitori e i figli, senza escludere anche argomenti più impegnati (tossicodipendenza, criminalità).
La novità più grande del prodotto era rappresentata dal autoreferenzialità del giovane: in poche parole, il liceale raccontava e giudicava ciò che fino a quel momento aveva sempre rappresentato un universo emarginato dai palinsesti, tuffandosi in una realtà colorata di discorsi a braccio, imperfezioni, intercalare e semplicità non-professionale. Ecco, la forza trainante del De Filippi pensiero, in questo ventennio di dominio televisivo, probabilmente è stata proprio questa: portare la non professionalità al potere.
Emma Marrone, fiore all'occhiello della scuderia De Filippi e fresca vincitrice di Sanremo 2012
Questa formula ben presto si ampliò, e sfondò in altri rami del tessuto sociale: dall’autogestione televisiva si passò al corteggiamento in diretta, e al teatro di “Uomini & Donne”, ove il target si espanse, cercando (con successo) di coinvolgere diverse fasce di età, e diversi livelli socio-culturali. E così, pur se su toni (volutamente) pacchiani, pur con temi decisamente più leggeri, la televisione cominciò a capire di poter e di voler offrire non più mera finzione di universi lontani, ma rappresentazione volutamente imperfetta di universi propri del telespettatore. Fu, insomma, una “Tv dei Ragazzi” geneticamente modificata che improvvisamente comprese la forza esplosiva di cui poteva disporre. Ormai, il referente del prodotto non era più il ragazzo, ormai il referente poteva essere chiunque: la casalinga trascurata, il quarantenne donnaiolo, la commessa vanitosa, e chiunque avesse voluto vedere realizzato il suo sogno di gloria, direttamente (emblematico il format di C’è Posta Per Te), o tramite un altro volto, un altro personaggio riconosciuto non più come divo o come figura lontana e superiore, bensì come proiezione più o meno fedele delle proprie pulsioni e dei propri pensieri.
Marco Carta, altro rampollo di Maria, vincitore di Sanremo 2009
Passarono dunque gli anni, e la sterzata attuata da Maria De Filippi all’intera visione della televisione italiana apparve sempre più importante. Si iniziò con il talk-show educativo, si passò per il contenitore rosa, si cavalcò l’onda del protagonismo su richiesta di “C’è Posta Per te”. L’ultima conquista di questa inarrestabile cavalcata fu l’entrata nell’universo artistico, quel mondo che da sempre rimaneva asettico e chiuso nel suo circolo. L’impresa e il picco più alto dell’epopea DeFilippica fu proprio l’idea di ripulire la linfa artistica del movimento televisivo (dai ballerini ai cantanti, dagli attori agli showmen) attingendo da giganteschi casting, e rendendo il casting stesso spettacolo, prima dello spettacolo.
"Fame" (1980)
Un’intuizione a dire il vero ripresa da quel “Fame” di Alan Parker del lontano 1980, poi reso serial tv. Un’intuizione, quella di Maria che però sconvolse (e continua a farlo) tutto l’apparato artistico della tivvù italiana, costringendo la Rai a cavalcare l’onda e a creare a sua volta programmi alla “De Filippi” (prendiamo ad esempio “X-Factor”, poi trasferitosi su piattaforma Sky).
Il risultato è stato quello di pascere una generazione nella convinzione di poter raggiungere vette e gloria attraverso una spettacolarizzazione del sudore, del sacrificio quasi di stampo montiano. La fatica, l’imperfezione, la ramanzina del professore, le gelosie, e tutto quello che prima rappresentava il corollario sommerso della vita di un artista, ma prima ancora di un uomo, ora è parte integrante dello spettacolo: quasi come se a nessuno importasse del prodotto finito, dell’esibizione in sé, del risultato finale. I riflettori illuminano il tuo cammino e la tua dolorosa gavetta, in una specie di epopea figlia del sogno americano, quello dove gli attori diventano presidenti, e il signor nessuno scala le vette, passando dalla sua camera a Sanremo nel giro di pochi mesi. Un percorso in cui l’obiettivo non ha più così tanta importanza, e dove Io Speriamo Che Me la Cavo non è più manifestazione di una speranza di successo, ma la realtà di un’affermazione già raggiunta.
(Pubblicato su “Gli Altri Settimanale” del 2 marzo 2012)