Durante il governo Prodi l’università primeggiava nelle dichiarazioni di intenti. Ma non possiamo di certo concludere che durante quel governo siano state fatte delle riforme che si ricordino ancora oggi. C’è stata una maggiore attenzione solo nel senso che si è cercato di tirare avanti mettendo toppe ad un sistema che perde acqua da troppe parti, a volte, come nel caso della stabilizzazione dei “precari” degli enti di ricerca, in maniera del tutto sbagliata. Soprattutto non c’è stata una visione culturale che sia rimasta impressa sul ruolo dell’università e della ricerca nella società e verso quale direzione indirizzare una riforma del sistema. Dietro la riforma Berlinguer, che vista con occhi di oggi appare del tutto inadeguata e complice dello sfascio attuale del sistema, si muoveva un gruppo di persone impegnate e di comprovata esperienza. Il fallimento della riforma Berlinguer è stato accompagnato da un annichilimento di quelle forze e di quelle persone che l’avevano pensata. Il naufragio dell’esperienza del governo Prodi è stato il colpo di grazia. Al loro posto è subentrato quel ristretto gruppo di economisti fanatici che dagli inizi del nuovo millennio ha conquistato il monopolio mediatico e dunque anche culturale, con un messaggio devastante che, ripetuto infinite volte, ha fatto breccia e si è imposto. La riforma Gelmini è il frutto del suo tempo tanto che oggi si può fare un simpatico sondaggio dal titolo “Il ministro Gelmini accusa gli studenti che protestano e dice “difendono i baroni”: ha ragione?”. Questa è una domanda tanto paradossale quanto assurda. Mentre i ricercatori cercano di difendere il proprio futuro, i baroni o sono rappresentati dalla Conferenza dei Rettori che appoggia la riforma oppure, i più illuminati, guardano distrattamente a quanto succede.
Oggi si intravede una speranza che fa perno sulla presa di coscienza di una parte del mondo universitario della drammatica situazione in cui ci ritroviamo. In questi mesi, grazie all’azione di protesta contro il DDL Gelmini, si è creata una nuova coscienza comune che si era smarrita da un decennio. Quanto sia importante lo si è visto chiaramente nell’azione di pressione che ha avuto sull’opposizione parlamentare nel suo ruolo parlamentare. Da quanto è successo e sta succedendo tutti hanno da imparare. La politica che si rende conto che senza un confronto con le forze vitali dell’università non si va lontano e bisogna innanzitutto capire quali queste forze siano: a me sembra che vi sia anche una questione di percezione del problema da parte delle precedenti generazioni, quelle che hanno avuto una vita ed una carriera troppo diversa, da quelle delle attuali generazioni che sono più consce dei problemi reali di oggi. Quelle che hanno subito troppe disillusioni per avere ancora le energie per affrontare la situazione. Anche i movimenti spontanei di studenti, precari, ricercatori e docenti hanno imparato, vedendo concretizzare l’effetto dei propri sforzi, che solo un impegno costante può portare a dei risultati. Questo non deve e non dovrà essere uno sprazzo estemporaneo ma bisogna gettare le basi perché si traduca in una situazione di dialogo permanente. La bussola alla politica deve pur venire da qualche altra parte, visto che non è capace di trovarsela da sola a prescindere dalle esigenze reali del paese. Ma la battaglia vincente si gioca sul piano culturale e d’influenza dell’opinione pubblica attraverso i media. Perché è proprio lì che finora si è perso troppo terreno che ora va riconquistato centimetro per centimetro.
(Pubblicato su Il Fatto Quotidiano online)
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