1974: That’s Entertainment di Jack Haley Jr.
Tutto quello che veniva dall’America, paese sognato, diventava immediatamente favoloso; tutto quello che succedeva in America sembrava succedere in maniera avvincente… Il mito dell’America è nato proprio dal cinema: tu vedevi i film di Hollywood e volevi essere americano, magari continuando ad abitare a Rimini (Federico Fellini).
Hollywood… fabbrica di sogni. Questa è l’idea che tutti hanno del periodo d’oro dell’industria cinematografica americana… e quale genere esprime meglio questo concetto del musical, dove la vita è spesso un grande sogno in technicolor?
Ed è il musical, a mio parere, che caratterizza Hollywood: nessun altro genere è tipicamente hollywoodiano come questo di cui detiene un monopolio incontrastato (altre cinematografie hanno creato ottimi western thriller horror… ma nessuna ha eguagliato gli americani in questo campo).
La MGM, nel celebrare il 50° anniversario, realizzò nel 1974 questa antologia che ricorda il suo primato nel campo del musical. Scene e musiche indimenticabili. E gli attori? Giustamente lo slogan dello studio era Più stelle nella MGM che in cielo…
Ha scritto Walter Veltroni: “Questo film è come un’indigestione. Come se un appassionato di cioccolato fosse portato in visita alla fabbrica della Lindt o della Suchard, così è, per chi ama il cinema, C’era una volta Hollywood. È una cavalcata trionfale nella memoria e nella storia del cinema. C’è, in frammenti, tutta la storia del musical americano. Cioè la storia di tutto il cinema che ha fatto sognare. Provate a chiudere gli occhi e a sognare, con gli occhi della mente, mentre tutte le immagini più care vi scorrono davanti e provate a risentire le musiche più tenere ed emozionanti. Dunque: c’è Esther Williams che nuota e intorno a lei ruotano colori pacchiani e scenografie di dubbio gusto. C’è il nasone di Jimmy Durante e il ciuffo di Donald O’Connor. C’è Cary Grant, elegante e sornione. È c’è Judy Garland. Potrei non finire più, tanti sono i volti cari che si affollano in quelle immagini. Ma ci sono tre cose che restano impresse nella memoria: la tipica sequenza di Gene Kelly in Un americano a Parigi, i balletti di Fred Astaire, tutti. È poi c’è una sequenza di balletto comico con Donald O’Connor che è davvero memorabile. Il film è un gioco meraviglioso. Dura tanto, ma si vorrebbe non finisse mai, questo Blob della Mgm” (Certi piccoli amori. Dizionario sentimentale di film, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1988)
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p.s.
Gli ultimi decenni sembrano aver risvegliato gli americani dal sogno incantato cui lo avevano abituato i film hollywoodiani: il musical non sarebbe stato più lo stesso.
Spirito gioia ottimismo… (e il tradizionale mostruoso talento) che caratterizzano il musical dei tempi d’oro riappaiono improvvisamente nel 1982: Blake Edwards dirige sua moglie in “Victor Victoria” (a detta della critica ultimo esempio di un mondo irrepetibile). La magnifica Parigi anni Trenta interamente ricostruita negli studi, l’eccezionale bravura di Julie Andrews e di Robert Preston, l’intelligenza del copione, le musiche e le coreografie eleganti ed ironiche danno origine a un enorme successo in tutto il mondo… vero canto del cigno.