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C’era una volta la schedina: vita, miracoli e declino di un feticcio calcistico per eccellenza

Creato il 01 ottobre 2014 da Controcalcio

di Valerio Fabbri

Si parla spesso di come il calcio moderno abbia stravolto le nostre abitudini pallonare. Prima ci si riuniva al bar per commentare le partite in base alle cronache del lunedì. Poi subentrò la radio, che permetteva di fantasticare e sognare in diretta. Poi arrivarono le reti private e le dirette con commenti dagli studi televisivi, e il bar dalla strada si trasferì sul piccolo schermo. Ma le partite domenicali rimanevano pur sempre un’emozione da vivere più che da vedere in diretta.

Il sentimento era sempre lo stesso, perché il calcio spezzatino che caratterizza questo secondo millennio era pura fantascienza nemmeno quindici anni fa. Il pranzo domenicale, per gli italioti amanti del pallone, era ritmato dalle partite in contemporanea, sempre e comunque, durante tutto il campionato, con una sola ora di differenza del calcio di inizio fra estate e inverno. Prima ancora della mitica tramissione di Radio Rai “Tutto il calcio minuto per minuto”, nelle abitudini dei fanatici del pallone entrò la schedina del Totocalcio, un appuntamento fisso che è andato perso e si è annacquato insieme a tante altre piccole e grandi tradizioni (i numeri dall’1 all’11, le maglie classiche e non in stile militare, etc.). Se è ben nota la fine ingloriosa della schedina, la sua nascita lo è molto meno. Già negli anni ’30 ci fu un tentativo di creare un concorso pronostici legato al calcio. Il pallone già riempiva a tal punto le domeniche degli italiani che Leandro Arpinati, romagnolo e sodale di Mussolini dalla prima ora, nonché presidente della F.I.G.C., ideò un concorso legato al campionato sulla falsariga delle lotterie, varate dalle menti economiche del fascismo per aiutare le dissestate finanze dello Stato. Tuttavia Achille Starace, fascista “diciannovista” e presidente del C.O.N.I., si oppose strenuamente e affossò l’idea di Arpinati, temendo di finire in ombra. Per ironia della sorte ci volle l’intraprendenza di un ebreo triestino, ex giornalista della Gazzetta dello Sport, Massimo Della Pergola, per ridare vigore all’iniziativa di Arpinati. Costretto a lasciare prima la professione e poi il paese in seguito alle leggi razziali, Della Pergola si ritrova internato in Svizzera in un campo sulle rive del Rodano, matricola 21915. Per scongiurare la depressione, per ridare slancio al calcio italiano nel dopoguerra, o semplicemente per evadere dalla difficile realtà di un campo di concentramento e sognare un domani negato, Della Pergola iniziò a dare forma ad un concorso di pronostici basati sulla competenza calcistica e non sulla dea bendata, come le lotterie. L’idea fu tanto semplice quanto geniale, per certi versi simile a quanto già accadeva in Gran Bretagna e in Scandinavia, ma i suoi calcoli, le sue ipotesi di lavoro, i suoi sogni non trovarono finanziatori: c’era da pensare ad altro nel dopoguerra, il calcio è un palliativo, si sentiva rispondere. Della Pergola però non rinunciò alla sua idea: come poteva abbandonare il sogno che lo ha tenuto in vita in quei giorni difficili? Decise quindi di proseguire per la sua strada, pur accollandosi molti debiti. Con i colleghi svizzeri Fabio Jegher e Geo Molo, conosciuti durante l’internamento, fondò la Società Italiana Sportiva a Responsabilità Limitata (Sisal), dopo aver ottenuto dai Ministeri dell’Interno e delle Finanze i permessi per la gestione del gioco. Il C.O.N.I., guidato da Giulio Onesti, inizialmente ne rimase fuori, pur se la proposta era interessante: un terzo alla Sisal, un terzo al C.O.N.I., e un terzo ai vincitori. Il 5 maggio 1946 si gioca la prima schedina Sisal, costo 30 lire per una sola colonna; a vincere fu Emilio Biasotti, milanese con origini romane, che indovinò 12 risultati e incassò 462.846 lire. Gli incontri inseriti riguardavano il girone finale della serie A, i seguenti due la serie mista B e C, mentre i rimanenti, tra cui il cosidetto incontro lilla (Legnano-Novara in questo caso), riguardavano la coppa Alta Italia. Trascorsero due anni e il C.O.N.I., su pressione del Ministero dell’Interno, volle essere della partita. Nasce così il Totocalcio, e con esso il Totip, dedicato all’ippica, che rimane ad appannaggio della Sisal quasi come risarcimento per lo scippo. Il resto è storia. Nella stagione 1950-1951 viene inserita la tredicesima partita e doppio montepremi (12 e 13 risultati esatti), poi le doppie e le triple, nascono i sistemi e la schedina è già parte del linguaggio comune (“una partita da tripla”, per indicare un match dall’esito incerto). La Sisal poi negli anni ’90 non è più solo calcio: prima l’Enalotto, poi il Superenalotto, infine l’acquisizione di Match Point per entrare nel mercato delle scommesse moderne. E la schedina del Totocalcio, in un turno di campionato che ormai dura anche 3 giorni, finisce impolverata nel museo della storia.


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