Sono quelle città che hanno avuto una Storia lunga, intensa e ricca di alti & bassi. Quelle città che hanno un'aria misteriosa ed un po' sorniona da Donna Vissuta, ma che contemporaneamente conservano l'aplomb e la classe della nobiltà a cui appartengono.
Una nobiltà che può anche essere decaduta, che può anche essersi trasformata in umiltà operaia, ma che, quando è autentica e genuina, continua a conservare la sua dignità e bellezza.
E, magari, riesce a coglierti di sorpresa con qualche scoperta inattesa, come quando si sale nelle soffitte di vecchi palazzi e si trova un baule impolverato in cui frugare.
Torino è indubbiamente una di queste città.
E la sua soffitta è la Collina, dove si trova la Villa della Regina, un piccolo e prezioso gioiello dimenticato in un baule.
In realtà questo baule non è nemmeno poi tanto nascosto.
Basta trovarsi ad aspettare un autobus su una pensilina di via Po, o a sorseggiare un aperitivo all'aperto in Piazza Vittorio Veneto per notare la sua bellezza discreta e fuori dal tempo che si affaccia dalla collina alle spalle della Gran Madre.
Sembra una fanciulla d'altri tempi, obbligata a stare chiusa in casa per regole morali di rispettabilità che oggi ci farebbero sorridere, e che guarda dalla sua finestra, malinconica e rassegnata, la vita che scorre.
Qualche turista ogni tanto chiede che cosa sia questo fantasma di villa seicentesca - forse stupendosi perché qualcosa di così bello sia così poco celebre, sia accennato solo en passant sulle guide.
A Torino qualunque palazzo, villa o castello che sia etichettato con attributi di regalità è inevitabilmente collegato ai Savoia, ça va sans dire.
E questa villa porta la firma di Ascanio Vitozzi prima, e dei Castellamonte poi - grandi nomi dell'architettura a commissione sabauda, a cui si deve una buona fetta del centro storico di Torino.
La "Regina" in questione era una regina bambina, quella Ludovica Maria di Savoia che a 13 anni andò in sposa a suo zio quasi cinquantenne, il quale fino a quel momento indossava la porpora cardinalizia. Giochi politici di potere che all'epoca venivano valutati con un altro metro di moralità rispetto a quello che potremmo avere oggi.
Ad essere precisi, Ludovica non era veramente una regina, perché siamo nella seconda metà del 1600 e il dominio dei Savoia era ancora sotto la forma di Ducato.
Infatti inizialmente si chiamava Villa Ludovica, e, se magari per lei era una specie di casa delle bambole un po' più grande, con il panorama di Torino steso ai suoi piedi, per il suo zio consorte che gliela commissionò come dono di nozze divenne un salotto letterario di alta levatura, con il verde ed il silenzio della collina a conciliare l'introspezione e la riflessione.
Il (ex) Cardinale Maurizio era un uomo di cultura, amante della scienza e della storia, e battezzò questo salotto, in cui ebbe modo di radunare alcuni degli intellettuali ed accademici più eminenti dell'epoca, l'Accademia dei Solinghi.
Così mi piace un pochino di più, devo dire.
Ma questa villa continuò a riscuotere parecchio successo anche fra le generazioni successive di Savoia, soprattutto fra le esponenti sabaude del gentil sesso, tanto che, per l'appunto, finì per guadagnarsi l'appellativo con cui è ufficialmente nota oggigiorno.
Incontrò persino la predilezione di Napoleone - anche se l'intero Nord Italia è talmente pullulante di edifici targati con l'epitaffio "Qui dormì l'imperatore Bonaparte" che la cosa perde un po' di pregio.
Ma non si può piacere a tutti, e Vittorio Emanuele II forse non rientrava fra i suoi fan - perché decise di donarla in beneficenza all'associazione filantropica a favore delle figlie dei caduti durante le guerre d'indipendenza.
Suo figlio Umberto I, però, forse ne sentiva un po' la nostalgia, e fece traslocare nei suoi appartamenti al Quirinale.molti degli arredi presenti al suo interno, inclusa una bellissima libreria d'ebano.
Lo capisco, trovare una libreria sufficientemente grande e spaziosa non è affatto facile. E ai suoi tempi non esisteva ancora l'Ikea...
La Villa aveva comunque cominciato la sua strada in declino, e durante la Seconda Guerra Mondiale i bombardamenti le inflissero anche qualche brutta ferita.
Finita la guerra, lo sappiamo tutti, l'Italia divenne una Repubblica, i Savoia andarono in esilio e lei finì nel baule.
Nessuno se ne prese più cura ed arrivò ad essere talmente infestata dalla vegetazione da sembrare la rovina di un tempio nella foresta pluviale.
Poi, per fortuna, nel 1994, qualcuno si ricordò che c'era un gioiello nascosto in quel baule, che rischiava di finire distrutto dalla muffa e dall'incuria - per cui fece in modo di riuscire a procurarsi una chiave per aprire il baule.
Io e la Villa abbiamo avuto una breve storia un po' tormentata.
Per anni anch'io me l'ero scordata, avevo dimenticato quel baule e lo avevo lasciato chiuso nella mia personale soffitta di vagabondaggi ritempranti torinesi.
Per "vagabondaggi ritempranti" intendo quando mi metto a vagare per la città senza un particolare obiettivo pragmatico (che so, andare alle bancarelle dell'usato a cercare un certo libro fuori catalogo da anni per cui mi sono impallinata, oppure provare un nuovo ristorante di cucina fusion dell'Antartide), ma semplicemente per goderne la bellezza e farmi ispirare.
Poi, nella primavera di quest'anno, ho deciso che dovevo vederla.
Che volevo vederla.
Il suo richiamo era diventato fortissimo e per qualche mese si è trasformata nella mia piccola chimera personale da inseguire: uno di quei posti che, ogni volta che ti riprometti di visitare, sembra sempre che il destino si diverta a frapporre qualche ostacolo in mezzo.
La prima volta che ci ho provato, a marzo, era di lunedì, e il lunedì è il suo giorno di chiusura.
Mi sono appoggiata contro il suo cancello sbarrato con l'aria languente e delusa di un bambino di fronte ad un negozio di giocattoli in cui la mamma gli ha proibito di entrare.
L'ho fotografata attraverso le sbarre, ed ho provato a sbirciare il suo giardino all'italiana dai parapetti di pietra.
Ci ho riprovato a giugno, di martedì.
Dopo la lunga passeggiata in salita (ma voi potete arrivarci comodamente in auto, o almeno avvicinarvi un po' con un autobus di linea, non dovete necessariamente mettere in atto il mio stesso masochismo), la trovo di nuovo chiusa.
L'avevano tenuta aperta il giorno prima, perché era festivo, e quindi dovevano recuperare la chiusura.
Ad agosto, finalmente, (e siamo di mercoledì) varco felice i suoi cancelli.
Forse questa Regina decaduta che si vedeva affacciarsi dalla collina si nascondeva dietro la finestra non tanto perché non la lasciassero uscire, ma perché lei stessa non si sentiva di farlo.
E' una ragazza che era stata abituata ad essere bella, e ora è sfigurata dalle cicatrici e dal passare del tempo. E' una regina che era stata abituata ad essere ricca, e ora indossa poveri abiti rattoppati.
E' il fantasma di una villa.
Ma riesce comunque ad esserlo con nobile dignità.
L'erba è secca ed ingiallita, però viene tagliata con regolarità.
Non ci sono fiori, ma quest'anno ce ne sono pochi in tutta Torino. Tagli e crisi, immagino. Non di certo siccità.
Le statue delle fontane sono reduci di guerra decapitati o mutilati, e muffe ed agenti atmosferici hanno levigato i loro lineamenti rendendoli senza volto come i cadaveri di Pompei. Però i giochi d'acqua continuano a zampillare fra le loro ferite.
La vigna è stata riportata in vita, e dal 2008 viene regolarmente effettuata la vendemmia di Freisa.
Resta la bellezza scenografica del Gran Rondeau, con la sua doppia scala e la fontana centrale, che fa da piedistallo, da presentazione all'edificio.
All'interno la Villa è priva di mobilio, ma conserva alcuni affreschi ed arazzi.
C'era anche una colonna sonora di musica strumentale live: a volte si sentiva qualche stecca, ma era ammissibile, dal momento che si trattava proprio di lezioni di musica tenute in questa location molto speciale.
Ma la Villa è un gioiello col doppio fondo, e la parte più bella del suo giardino si trova sul retro: tre livelli di giardino all'italiana, con grotte, siepi, statue, cascatelle ed un belvedere di marmo.
L'ingresso alla Villa è gratuito, e si può usufruire di una visita guidata alle ore 11, sempre gratuitamente.
E che dire?
La mia opinione in merito è un po' contrastante.
Mentre camminavo per il giardino spoglio e le statue decapitate, non potevo fare a meno di pensare quello che, forse, penso un po' troppo spesso: "Se fossimo in Inghilterra..."
Se fossimo in Inghilterra, certo, l'ingresso non sarebbe gratuito.
Però la Villa sarebbe arredata, ci sarebbero pannelli illustrati a raccontare la sua ricca storia (qualora si perdesse la visita guidata, o semplicemente si preferisse girarla in autonomia) e ci sarebbero figuranti in costume pronti a rispondere alle domande dei visitatori più curiosi. Ci sarebbe anche un percorso di visita fatto apposta per i bambini, con fumetti e giochi adatti a stimolare il loro interesse e fargli rimanere impresse le informazioni.
Il giardino sarebbe colorato e rigoglioso, ricco di fiori e piante, con l'erba morbida e verde (e no, non mi dite che là piove molto più che qua, perché vi posso assicurare che quest'anno è stato proprio il contrario).
Le statue sarebbero restaurate, e nel Padiglione dei Solinghi del Cardinale Maurizio si organizzerebbero ancora oggi eventi a tema culturale.
Ci sarebbe una tappa obbligata al negozio di souvenir, che sarebbe ricco di merchandising, belle cartoline e libri interessanti.
Ci sarebbe una caffetteria che sfrutterebbe la vista spettacolare che si può godere da qui.
Ma lo so, non siamo in Inghilterra.
Siamo in Italia, e ci manca l'amore e l'orgoglio per la nostra storia e per la nostra cultura che ci porterebbero a far risplendere le nostre risorse turistiche come fiori da far brillare all'occhiello.
Lo so, non ci sono soldi, ma i soldi si dovrebbero anche imparare a creare, sfruttando meglio quello che abbiamo, che non è affatto poco, tirando fuori tutti i nostri gioielli dai nostri bauli, e togliendogli la polvere di dosso.
Però, mi rendo conto, è un circolo vizioso che non è facile spezzare.
Per cui, comunque, tanto di cappello a chi, in qualche modo, è riuscito a fare il possibile per tirare fuori dal baule questo gioiello e a renderlo il più presentabile che poteva con le risorse che ha avuto a disposizione.
E' già un inizio.
Mi piacerebbe che si potesse continuare...