C’era una volta una trota marmorata a spinning…

Da Pietroinvernizzi

C’era una volta una trota marmorata…

C’era una volta una strada angusta che portava dalla grande città del piano alle pendici di montagne imponenti, laddove un fiume serpeggiava tra vallate verdi d’estate e bianche d’inverno.
Quella strada angusta avea nome di Autostrada Milano-Torino… Si narra che in tempi antichissimi fosse una strada come altre, fino a quando avidi stregoni scoprirono un maleficio: quanto più tempo si fossero impegnati a molestare quella strada, tanto più avrebbero guadagnato denaro dello stato. Come fece Penelope con la sua tela, essi di giorno costruivano un pezzo di nuova corsia e di notte ne distruggevano un’altra parte…
Fu così che all’alba di sabato primo di marzo dell’anno duemilaequattordici, un quasi giovane pescatore, indomito cavaliere della brigata Anonima Cucchiaino, affrontò quel periglioso cammino nel buio che precede l’alba. 

Uscendo da Milano all’alba…

Scrosci di pioggia trasformavano la mescola di asfalto-saponato in una trappola per automobili e la carreggiata si restringeva ora ad una ora a due corsie, per la gioia di grossi autotreni che potevano spingere i malacapitati automobilisti verso i guardrail.
Resistette allo sconforto e arrivò vittorioso e indenne sulle rive del fiume e, laddove si era chiusa l’Apertura, cominciò questa seconda giornata di pesca alla trota.
Con i waders addosso scese il giovane dall’auto per armare la sua portentosa canna, erano le 7 e 15 minuti.
Lo raggiunse il compagno di ventura Matteo, senza che si fossero dati appuntamento preciso, entrambi sapevano che quello era il punto e l’ora in cui trovarsi a lanciare. Quasi tre ore di pesca trascorsero in quella lama tenebrosa, con la pioggia che entrava nelle ossa e un vento gelido che sferzava la faccia. Una trota discreta fu allamata e persa da Matteo con una gomma su testa piombata, una trota vigorosa strattonò il CD11 del giovane milanese. L’esca, armata con una sola ancoretta di coda, non fece allamare il misterioso salmonide. Infine una trotella fugace inseguì svogliata un’esca grande quanto lei. Era tempo si spostassero.

Salirono insieme, baldanzosi e infreddoliti, verso una parte più alta della valle dove il greto del fiume era ammantato da alcuni centimetri di candida neve e chiuso tutto intorno da scure pareti di roccia da cui scaturivano prodigiosi salti d’acqua alti anche decine di metri. Era un paesaggio da fiaba. Tanto incanto faceva dimenticare il freddo e la fame e li spronava a lanciare senza posa comminando sul greto del fiume. Non un suono nell’aria oltre quello dell’acqua che correva copiosa, una decina di centimetri più alta della settiamna precedente e leggermente più velata di un verde intenso.
Giunsero a due lame lunghe e quasi immote, il gagliardo Anonimo acquattato come lince nella neve vide una trotella guizzare per un istante dietro il suo grande minnow. Stufo di cotanto cappotto, che perdurava ormai da oltre quattro ore, decise di innescare una piccola gomma dai colori accesi su di una minuta testa piombata. <Perbacco, adesso la faccio saltellare sul fondo e voglio vedere se quella fariozza non abbocca!>, disse il pescatore, e così fece il suo lancio. Un saltello, due saltelli ed ecco la sospirata abboccata fece vibrare la canna! La quieta superficie della lama fu rotta dal dimenarsi di quella splendida creatura, una trota fario sui venticinque centimetri.

Trota fario a gomma

Da quel momento fu una festa di abboccate e recuperi, di trote allamate e portate a riva in sequenza. Alla quarta trota catturata e liberata, Matteo che pescava più a valle in una buca più profonda, raggiunse l’Anonimo e si unì alla sfida: scappottare per meritarsi il pranzo! Liberata la settima fario del milanese anche Matteo, dopo diverse allamate e perse, portò a riva una bellissima trota fario. Fu l’ora solenne di cercare ristoro alla locanda del vicino borgo. Là il Savio Maestro e l’ottimo Fabio aspettavano i nostri.

Trota fario a gomma

Un pasto non esattamente frugale poté ritemprarli: risotto alla milanese e bollito alla piemontese e tanto tanto amore per il termosifone alla parete. Discorsi eruditi di accademia alieutica allietarono il desinare.
Ancora dovevano suonare tre rintocchi al campanile di Varallo quando il fiume Sesia si stupì di rivedere Matteo e l’Anonimo ancora sulle sue sponde, ancora intenti a lanciare nelle sue fredde acque. Pescarono insieme un tratto breve di fiume quando Matteo, vinto dalle intemperie e dagli impegni famigliari, batté in ritirata.
<S’io fossi foco mi riscalderei, s’io fossi vento mi lascerei in pace, s’io fossi furbo me ne andrei a casa!> esclamò il quasi-giovane di Milano, eppur non se ne andò, ma solitario e ramingo si diresse verso altra zona del fiume.
Rifece il finale fumando il suo tabacco in silenzio sacrale, controllò bene i nodi tra il Power Pro da 30lb ed il fluorocarbon 0.35mm, controllò scrupoloso l’integrità del moschettone e vi attaccò un Rapala BX Minnow 10 S, a cui aveva lasciato solo l’ancoretta ventrale. Pescava a scendere con la corrente, indugiando in qualche trattenuta dell’esca dietro i sassi più grandi.
Fu colto di sorpresa. Fu un attimo! La manovella del mulinello arrestata, un ostacolo grande all’altro capo della lenza… non ferrò deciso come suo solito, forse il freddo gli aveva intorpidito il cuore e la mente, il filo si mosse a zig zag, tagliando la superficie dell’acqua a pochissimi metri da lui… un pesce iniziò a tirare pompando, era già nel correntone e faceva capriole. Una sagoma scura, forse 60 o 65 centimetri, la canna mandava testate animali contro i tendini contratti del polso. Quando l’Anonimo si rese conto dell’errore che stava facendo trattenendo quel grosso pesce contro corrente fu troppo tardi per iniziare a camminargli incontro o per allentare la frizione… un’ultima beffarda capriola lo stava salutando.
Colmo di amarezza e di sacrileghi pensieri meditò il da farsi. Abbandonare la blasfemia e continuare a pescare in quel modo parve la soluzione più sensata.

Forse quaranta minuti più tardi, forse cinquecento metri più a valle, quando la pioggia decise di dare una tregua, si ripeté il prodigio: un arresto deciso quando l’esca nuotava dietro un grande masso! La portentosa canna si impennò decisa in ferrata perentoria, il fedele mulinello nitrì con acuto di frizione ed il giovane in un balzo stava saltanto di pietra in pietra sulla sponda. Seguì con occhio attento quella sagoma scura che si dimenava nel centro del fiume… sempre più a valle, sempre più vicina alla riva… fiato sospeso: guadino! Era fatta. La rete gommata non scalfiva la pelle delicata di quel fiero pinnuto. Si poté tirare un lungo sospiro. Rimirare quella bellezza era un diritto ed un dovere. Pura, massiccia, nobile. Pesce ormai arreso, restava docile nell’acqua in attesa. La macchina fotografica su un sasso fece lampeggiare i 10 secondi del conto alla rovescia, sufficienti per alzare delicatamente la trota e immortalarne la bellezza con un autoscatto per due velocissime volte. Poi la Regina Marmorata fu ossigenata pochi secondi, avanti e indietro nel suo elemento, più per scrupolo che per necessità. Nuotò via decisa verso il fondo, spiata dalla macchina fotografica immersa.

Release Marmorata underwater shot… Libera!

Il pescatore era intimamente felice, una gioia che aveva provato altre volte e che nemmeno lui sapeva spiegarsi del tutto. Troppo intensa, troppo profonda e pura per ridursi a narcisismo ed autocompiacimento.
Si rese quel giorno palese, che la preparazione del lungo inverno non fu fatta invano e che gli dei della pesca, talvolta, sapevano premiare chi tributava loro devoti sacrifici sotto la pioggia o il solleone.

C’era una volta una trota marmorata…

C’era una volta, ancora una volta, una buona ragione per sorridere: una lunga stagione attendeva il pescatore e la sua valorosa brigata, quel clan da temere che avea nome di Anonima Cucchiaino.

ROCK’N'ROD


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