
In quanto studioso di Petrarca e, più in generale, della letteratura italiana del Trecento, Santagata ha probabilmente applicato, nella ricerca della Ferrante, un procedimento analitico non dissimile da quello usato per sciogliere gli enigmi sui personaggi danteschi o sulla stessa Laura; anch'ella, infatti, è una figura sospesa fra la realtà storica e la finzione letteraria, per questo si può dire che Santagata abbia ricercato l'autrice de L'amica geniale come può aver in passato seguito le tracce della fanciulla avignonese.
Ma cos'è che rende questa ricerca degli autori e dei riferimenti letterari tanto interessante, quando non addirittura maniacale? Dal momento che questa tendenza è esistita fin dall'antichità, non si può dire che si tratti di un fattore puramente mediatico, anche se, come ovvio, i mezzi di comunicazione (in particolare internet) hanno reso la divulgazione di questi dilemmi più immediata e pervasiva, per la gioia dei motori di ricerca.
Il caso più noto di caccia all'autore è quello che ha per protagonista Omero, di cui già in epoca classica si metteva in dubbio l'esistenza, per poi arrivare fra XVII e XIX secolo alla definizione di una vera e propria questione omerica: è uno soltanto l'autore di Iliade e Odissea? O uno soltanto è stato colui che ne ha raccolto i canti migliori? O forse Omero ha scritto il primo dei due poemi, mentre il secondo è opera di un Deuteromero? Come noto, tale dibattito non ha ancora una conclusione universalmente accettata e probabilmente mai l'avrà. E non c'è dubbio che l'alone di mistero che circonda questo personaggio contribuisca non poco al fascino delle opere tramandate a suo nome: come una sorta di mitico Orfeo, egli rappresenta il creatore della letteratura occidentale e, se lo conoscessimo troppo bene, verrebbe meno quella sorta di sacralità che ammanta il mito.
Più risaliamo indietro nel tempo più è facile incontrare opere anonime o di dubbia attribuzione. In molti casi i nomi di grandi autori venivano usati per pubblicizzare opere che altrimenti avrebbero avuto scarsa considerazione, come accadde per la cosiddetta Appendix vergiliana, una raccolta di trentatré carmi attribuiti all'autore latino ma probabilmente scritti da qualche studente suo imitatore in epoca successiva. Un altro caso antico di sfruttamento di un nome prestigioso o, semplicemente, di un errore grossolano di attribuzione, è quello dell'associazione fra il trattato Del Sublime e i retori Dionisio di Alicarnasso e Cassio Longino, dedotti dall'intestazione del testimone più antico del testo, il Parisinus Graecus 2036, risalente al X secolo.
Ritratto dell'autore sorretto da attori mascherati e teca con maschere,
dal manoscritto delle commedie di Terenzio MS Auct. F.2.13
della Biblioteca Bodleiana di Oxford (XII sec)
[fonte: sito del Metropolitan Museum of Art]
Ancora ad un'ambigua dicitura sul manoscritto testimone va riportata la querelle sull'identità dell'ignoto autore del Satyricon, a maggioranza identificato con il Petronius arbiter elegantiae di Nerone sulla base della consonanza fra questa definizione usata da Tacito negli Annales (libro XVI, 18-19) e l'intestazione dei manoscritti, il più antico dei quali fu scoperto nel 1423 a Colonia da Poggio Bracciolini. Numerosi dubbi esistevano anche a proposito di Publio Terenzio Afro, il commediografo vissuto nel II secolo a.C., accusato di essere soltanto il prestanome di qualche membro della famiglia degli Scipioni, essendo accertata la sua appartenenza al celebre circolo culturale.
Gli autori successivi non furono certo risparmiati da indagini letterarie da parte di lettori e critici, indipendentemente dall'area geografica da cui provenivano. Analogamente ad Omero e a Terenzio, anche William Shakespeare, nel XVIII secolo, fu al centro di un dibattito fra intellettuali che affermavano con certezza o, al contrario, negavano l'esistenza del Bardo, ritenendolo tutt'al più un prestanome di un personaggio più colto o di un circolo di letterati: da un lato c'erano gli Stratfordiani, certi della paternità delle opere, dall'altra gli Anti-Stratfordiani, che le attribuivano ad altri eminenti letterati come Christopher Marlowe o Francis Bacon, affermando che «Shakespeare non è mai esistito. Tutte le sue opere sono state scritte da uno sconosciuto che aveva il suo stesso nome.». Del resto, è noto che la ricerca della vera identità dell'autore ha generato ipotesi piuttosto eccentriche, con tanto di una individuazione delle origini del Bardo in terra sicula.
Le tensioni religiose del XVI secolo favorirono la circolazione di opere di dubbia attribuzione, ma in epoca moderna molto spesso gli autori prendevano le distanze dai loro testi anche per altre ragioni, preferendo ricorrere a degli pseudonimi: se la scrittrice inglese Mary Anne Evans scelse per pura originalità di firmarsi con il nome di George Eliot, le sorelle Brontë, Charlotte, Emily ed Anne, si firmarono rispettivamente con i nomi maschili di Currer, Ellis e Acton Bell per non incorrere nei pregiudizi che nell'Ottocento accompagnavano la scrittura femminile, come fece Amantine Dupin, meglio nota come George Sand.
Insomma, casi come quelli elencati (cui se ne potrebbero aggiungere molti altri) dimostrano come il mistero che avvolge gli autori contribuisca alla loro fama e all'interesse suscitato dalle opere che ci hanno lasciato. I lettori, del resto, non hanno nei confronti degli autori l'interesse allo scoop che può muovere la ricerca di critici o giornalisti, quanto il desiderio di dare un volto a chi regala loro momenti di intrattenimento e riflessione. Qualsiasi lettore appassionato avrà fatto almeno una volta la fila per andare ad ascoltare uno dei suoi scrittori preferiti o avrà desiderato essere presente ad un evento in cui il tale autore era presente: stabilire un contatto, specialmente nell'era di internet e delle comunicazioni rapide, nella quale alcuni scrittori rispondono personalmente alle email o alle richieste di amicizia sui social, sembra la norma, per questo risulta difficile tollerare che un autore o un'autrice ci sfugga. L'autore che si cela alimenta la curiosità, forse anche le vendite, ma anche, in qualche caso, una sensazione di tradimento, come è accaduto quando J.K. Rowling pubblicò Il richiamo del cuculo servendosi dello pseudonimo di Robert Galbraith, che non fu ben accolto da tutti.
Personalmente, anche se mi fa piacere saperne di più a proposito degli autori che seguo, non riesco a comprendere gli eccessi della Ferrante-mania, compreso il tamtam Marmo-sì/Marmo-no seguito all'articolo di Santagata. Il pezzo stesso mi è sembrato un po'troppo pretenzioso, come se fosse un sacrosanto diritto degli autori e del mondo accademico in primis sapere chi ha scritto il tal libro. Forse è proprio la mia abitudine a confrontarmi con testi 'figli di nessuno' o con autori di cui resta poco più che un nome a farmi prendere questa posizione, ma mi trovo in fondo molto concorde con la dichiarazione della Ferrante (chiunque sia), che, nel 1991, dichiarò «Credo che i libri, una volta scritti, non abbiano bisogno dei loro autori. Se hanno qualcosa da dire, prima o poi troveranno lettori; in caso contrario, no…». Insomma, sebbene un modo di fare scuola distorto ci abbia inculcato l'idea che la biografia preceda per importanza l'opera, ritengo che sia proprio sul libro che dobbiamo concentrarci, accontentandoci che parte del suo fascino derivi proprio da ciò che non ci è dato sapere.
E voi cosa ne pensate? Siete accaniti investigatori dell'identità della Ferrante o di altri autori di ieri e di oggi, oppure il mistero della loro identità vi lascia indifferenti?
C.M.Articolo originale di Athenae Noctua. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore e senza citare la fonte.