Correva l’anno 1271 quando una giovane fanciulla di origini francesi, Alice de la Marche d’Angouleme, si accingeva ad andare in sposa a Gilbert de Clare, conte di Glouchester e di Hertford, uno degli uomini più ricchi e potenti di tutta la Gran Bretagna, esperto in arti militari e pluridecorato. Il luogo scelto per la cerimonia non poteva che essere quell’imponente e meraviglioso castello nel quale la coppia avrebbe trascorso (o avrebbe dovuto trascorrere) gli anni a seguire. Era stato lo stesso Gilbert de Clare ad ordinare la costruzione del castello di Caerphilly, tre anni prima, nei pressi della cittadina omonima nella contea di Glamorgan. Una volta completato, proprio nel 1271, il castello di Caerphilly abbagliava per la sua magnificenza: era indiscutibilmente il più grande castello del Galles, secondo in Gran Bretagna solo al Castello di Winsor. Ci vollero solo tre anni, come vi stavo dicendo, per portarlo a termine, e tutto ciò nonostante un increscioso incidente che si verificò a metà della sua costruzione: il principe Llywelyn, allora principe del Galles, che non vedeva di buon’occhio le presuntuose intenzioni del ricco conte, per contrastare i suoi piani discese con i suoi soldati in una fredda notte di autunno del 1270. Fu una notte d’inferno: la città di Caerphilly fu messa in ginocchio dalla ferocia del principe, uomini, donne e bambini caddero, e il sito sul quale stava sorgendo il castello fu dato alle fiamme. Ma fu proprio quella notte che Gilbert de Clare ebbe l’intuizione di quello che sarebbe diventato il più sofisticato sistema difensivo mai realizzato in una fortezza inglese: fu scavato un fossato tutt’attorno alla costruzione, poi un terrapieno esterno e, oltre questo, fu realizzato un vasto lago artificiale. Grazie a questo sistema “concentrico” di difese il castello di Caerphilly, nonostante i numerosi assedi ai quali fu sottoposto negli anni a venire, non fu mai preso. Quello che Alice non poteva immaginare il giorno del suo matrimonio era che gli avvenimenti recenti avevano cambiato Gilbert nel profondo.
Gruffudd era sfuggito all’agguato di un gruppo di briganti e, cavalcando ormai senza meta da diversi giorni, era giunto alle porte di Caerphilly. Egli fu accolto, rifocillato e sistemato per la notte in una delle tante stanze del corpo principale. Dalla sua stanza, nella quale si era ritirata subito dopo il tramonto, la bella Alice non si accorse di nulla. La servitù era dannatamente efficiente ed era stata istruita per gestire nel più completo riserbo qualsiasi imprevisto. Il principe Gruffudd, congedata l’ultima serva che si era attardata nelle cortesie di rito, cadde rapidamente in un sonno profondo, al riparo finalmente dai quei pericoli che, ad ogni angolo, lo avevano minacciato nel corso della sua lunga e disperata fuga. La notte trascorse silenziosa. Non un alito di vento soffiava oltre le finestre del castello. Nulla lasciava prevedere che il destino avesse già messo in moto il suo beffardo piano. Il mattino successivo, solerte, la servitù bussò alla porta del giovane ospite. L’uomo non rispose. Bussarono nuovamente e poi ancora, tre o quattro volte. Infine la porta fu sfondata. Il principe giaceva febbricitante, in un lago di sudore. Una brutta ferita al ginocchio, della quale nessuno si era reso conto, si era gonfiata. E fu così che l’ospite di una sola notte dovette, suo malgrado, trattenersi per diversi giorni ancora. I giorni successivi, da convalescente, Gruffudd li trascorse quasi interamente nella grande biblioteca accanto all’ingresso, sfogliando con malcelato interesse vecchi e polverosi libri di avventure. Fu quello il luogo che il destino aveva scelto come scenario delle vicende che andrò tra poco a raccontare.
Alice d’Angouleme fu avvertita della presenza dell’ospite il mattino dopo il suo arrivo, ma per i successivi tre giorni ella non desiderò incontrarlo, anzi ritenette opportuno trascorrere ritirata nella propria camera la maggior parte del tempo, almeno finché tutto non fosse tornato alla normalità. Ben presto però la curiosità ebbe il sopravvento ed un pomeriggio Alice, vestita di un elegante abito verde, varcò la soglia della biblioteca, proprio mentre il suo ospite era completamente immerso nelle pagine di un libro che, si seppe in seguito, narrava dei palpiti d’amore di un giovane cavaliere per la sua regina. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse, reciterà pochi anni più tardi un celebre fiorentino. Fu in quell’istante che gli occhi di Alice e quelli di Gruffudd si incrociarono per la prima volta. E quello sguardo congelò per un attimo il mondo intero.
I due si incontrarono la notte successiva e quella dopo ancora. I baci divennero di volta in volta sempre più audaci. Alice sembrava rinata. La gioia e la speranza di una vita migliore le avevano ridato il sorriso. Non sapeva, la poveretta, che presto tutto sarebbe finito. La quarta notte lui non c’era. La biblioteca era immersa nell’oscurità. Alice accese una candela e guardò in ogni angolo, ma del suo amore non c’era traccia. Rimase seduta su una poltrona della biblioteca tutta la notte, con lo sguardo fisso verso la porta. Si sarebbe potuta aprire da un momento all’altro, pensò, ma quando il sole sorse non era ancora successo nulla. Gruffudd non era venuto da lei.
Alice non seppe mai la verità. Poté forse intuirla la domenica successiva, quando il parroco le disse, nel corso di una delle sue visite, che un giovane principe venuto dal nord era stato impiccato nella piazza del paese. Alice non disse nulla, non chiese nulla, il suo volto non rivelò la benché minima emozione. Ella si scusò, si dilungò in inchini e così facendo si congedò. Coloro che la videro abbandonare di corsa la piccola cappella ebbero un brutto presentimento. Sul suo cammino non incrociò tuttavia nessuno, se non una giovane serva alla quale fece preghiera di non essere disturbata nemmeno per la cena. Detto questo sparì dietro la porta della sua camera.
Fu lì che Alice d’Angouleme fu trovata morta la mattina successiva. Corsero per alcuni giorni delle voci in paese, secondo le quali la poveretta sarebbe morta di crepacuore a causa di un grande dolore, ma nessuno seppe mai cosa accadde davvero alla bella principessa, che fu sepolta in fretta e senza tante cerimonie nel piccolo cimitero adiacente il castello, in una modesta tomba uguale a tante altre, senza nemmeno il conforto della memoria, allorché una mano ignota si affrettò una notte a cancellare il nome della sfortunata Alice dalla sua lapide. Ma quell’infame gesto vandalico non ebbe il risultato che sperava. Alice non venne dimenticata e si dice che ancora oggi, nelle notti senza luna, un’eterea figura femminile, vestita di un elegante abito verde, appaia sui bastioni del castello con lo sguardo colmo di tristezza e di speranza rivolto verso nord, verso quelle colline dalle quali, in quella lontana sera di settembre di tanto tempo fa, il suo giovane amore venne da lei.