Il romanzo è senza pretese, ma le tematiche che affronta non lo sono di certo. Le tre sorelle sono tre arabe, accolte con diffidenza in una comunità chiusa, osteggiate perchè la loro attività intralcia i progetti di Thomas McGuire, lo spaccone del paese, proprietario di una catena di birrerie. Il villaggio possiede tutti i tratti dei villaggi di provincia: le donne anziane che fanno cerchio ed escludono le nuove arrivate, soprattutto se straniere, i pettegolezzi, la classificazione delle persone anche solo sulla base dei sentito dire. La storia intreccia il desiderio di ricostruirsi una vita, di fuga da un passato difficile, all’amore fresco dei sedici anni di Layla. E insieme affronta il razzismo, le differenze culturali, la convivenza tra persone di nazionalità diverse e proveniente da culture e religioni differenti, la capacità di integrazione, la voglia di lavorare sodo di tre ragazze il cui passato viene svelato poco a poco, nel corso del libro, come se anche noi fossimo avventori del caffè a cui le protagoniste rivelano la propria storia quando si sentono pronte a farlo.
L’importanza della cucina, vera arte di Marjan e vero toccasana all’interno della storia, è sottolineata dal fatto che ogni capitolo si apre con una ricetta su cui poi le tre sorelle lavoreranno nelle pagine seguenti. E la forza del romanzo sta soprattutto, secondo me, in questo rapporto così stretto con il cibo, con la propria cucina, che è la più buona del mondo perchè è quella del proprio paese natale, e ricorda l’infanzia, i genitori, la famiglia, le proprie radici. Ho trovato a tratti commovente questo legame delle protagoniste con le spezie, le tradizioni, le ricette del proprio paese, soprattutto quando leggevo dell’ostilità, spesso immotivata, dei personaggi negativi. Il romanzo riesce a far sentire gli odori, e i sapori, e sembra di vederselo davanti agli occhi il Caffè Babilonia.
Come dicevo, la storia è senza pretese, anche piuttosto lineare e banale, se vogliamo. Ma è un modo per vedere l’integrazione degli stranieri, per chiedersi cosa sia stato a farli decidere di sradicarsi dal proprio paese, da cosa fuggano, in certi casi. Il romanzo tocca questi argomenti senza approfondirli troppo, e se questo da una parte può sembrare un difetto, dall’altra permette al lettore di rifletterci per conto proprio e giungere alle proprie conclusioni.
La lettura è stata estremamente piacevole, scorrevole, e anche interessante: mi sono copiata tutte le ricette del libro e magari un giorno o l’altro le proverò. Ma mi ha fatto venire anche voglia di conoscere meglio le tradizioni culinarie della mia città natale, e di conoscere quelle degli altri paesi del mondo. E mi ha strappato un sorriso nella descrizione così precisa degli usi e costumi di un piccolo villaggio. Li ho trovati talmente ben descritti che ci potevo riconoscere personaggi del mio paesello.
In definitiva, un romanzo godibilissimo, a cui magari manca una maggiore profondità nelle tematiche che si trova, volente o nolente, ad affrontare, ma che rimane comunque un romanzo carino e piacevole con cui trascorrere un pomeriggio.
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